La fatica è un fatto mentale

Fatica fatto mentale

Quando il fisico davvero non ce la fa più? E quando invece è la testa a dire stop mentre, forse, il corpo potrebbe andare avanti ancora? A leggere i risultati di alcune recenti ricerche sul tema delle prestazioni sportive e della resilienza, verrebbe da pensare che la fatica fisica forse non esiste e che la fatica, in fondo, è solo uno stato mentale.

È il corpo o la mente a dire che non ce la facciamo più?

C’è uno studio del 2009 (Mental fatigue impairs physical performance in humans) condotto da un ricercatore italiano, Samuele Marcora della School of Sport and Exercise Sciences presso la England’s University of Kent, che dimostra come più che i muscoli sia il cervello a comandare i nostri sforzi durante una prestazione atletica. Ovvero: se sei stanco di testa molto probabilmente mollerai prima di quando ti indurrebbero a fare i tuoi muscoli. Che poi non sarebbe altro che la spiegazione scientifica di quanto riescono a fare gli ultra-maratoneti: correre per giorni e giorni, senza dormire, con dislivelli paurosi, al freddo, sotto la pioggia o nella neve.

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È la mente che comanda il corpo

Lo studio è a suo modo rivoluzionario, perché ribalta la classica impostazione fisiologica secondo la quale quando i muscoli non ne hanno più mandano un segnale al cervello dicendo stop. Secondo Marcora invece capita spesso il contrario, ovvero che il cervello dice stop ben prima che i muscoli e l’organismo non ne abbiano più per andare avanti.

Fatica Fatto Mentale

Per cercare di dimostrare questa prima intuizione contenuta nello studio del 2009, nel 2010 Marcora ha ideato un test con alcuni giocatori di rugby, atleti tosti abituati al sacrificio, alla fatica, al dolore e allo stress, a cui ha chiesto una serie ripetuta di sforzi intensi, prolungati e massimali. Considerando l’aspetto fisiologico dei loro muscoli, i rugbisti hanno gettato la spugna ben prima di non essere più in grado di sviluppare la potenza che gli era richiesta. Era la dimostrazione che è la testa a comandare sul corpo e non il contrario. Ed era l’intuizione secondo la quale allora anche la testa può essere allenata per raggiungere i reali propri limiti fisici.

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La testa può fare la differenza

Chiariamoci: non è che la fatica fisica non esiste, e non è che è solo uno stato mentale. Ma secondo quei primi studi è la testa che può ancora fare la differenza quando si tratta di raggiungere i propri limiti fisici, e non il contrario.

A dare sostegno a questa ipotesi c’è un altro studio condotto da Kevin Thompson presso la Northumbrian University in Inghilterra: il dottor Thompson ha chiesto a un gruppo di ciclisti maschi di eseguire una serie di sforzi massimi in sella a una cyclette per stabilire il loro livello top di prestazione, e poi ha fatto ripetere gli stessi sforzi mostrando loro dei ciclisti avatar che potevano procedere alla loro stessa velocità oppure leggermente più veloce. Il risultato è stato che i ciclisti che gareggiavano virtualmente con l’avatar più veloce riuscivano a superare il proprio limite massimo, con aumenti della velocità media anche del 2%. Che per una competizione ciclistica è una percentuale più che notevole.

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Si può allenare anche la testa a sopportare la fatica fisica

Questi e altri studi simili sembrano dimostrare che c’è ancora un enorme margine nel nostro cervello per poter gestire la fatica e spingere il nostro corpo a toccare limiti fisici ancora superiori: tralasciando pratiche neuroscientifiche come la Stimolazione elettrica transcranica, ci sono ancora enormi ambiti da esplorare, dal ruolo del caldo sulla fatica a quello della privazione del sonno e fino a quello degli stimolanti ed eccitanti come il caffè.

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