Marco Mazzei: “Le bici a Milano e i diritti dei ciclisti: è ora di togliere spazio alle auto”

Le bike lane a Milano, la mini-riforma del Codice della Strada e il bisogno di una nuova mobilità che va a scontrarsi con la morbosità dell’italiano nei confronti dell’automobile. Senza dimenticare la “disputa” tra l’ACI e le associazioni pro-bici. Sono tutti temi che abbiamo trattato assieme all’esperto Marco Mazzei, presidente di Milano Bicycle Coalition e co-fondatore dell’evento Milano Bike City (che a causa del Covid-19 è stato rimandato alla primavera 2021).
In Italia, soprattutto nelle grandi città, dopo il lockdown è iniziata una vera e propria rivoluzione della mobilità urbana che, per essere compresa, potrebbe essere analizzata da questa angolazione: “Il diritto alla mobilità di chi si sposta a piedi o in bici non è diverso al diritto alla mobilità di chi sceglie l’auto: le amministrazioni devono dare a questi cittadini uno spazio che prima non avevano. E dato che lo spazio pubblico urbano è terminato, e non possono agire sulle leggi della fisica, inevitabilmente devono togliere spazio a chi se lo era preso tutto in precedenza. Le ciclabili vanno a certificare il diritto alla mobilità di chi sceglie mezzi alternativi alle auto. Tolgono spazio alle macchine? Assolutamente sì, e menomale”, spiega Mazzei. In Italia, dove l’automobile è ancora vista come un oggetto tribale e intoccabile, non siamo abituati a sentire parlare in questo modo. Quando ci toccano l’auto e tutti i suoi elementi, ci sentiamo quasi violati. Ma il mondo sta cambiando e c’è la necessità di ripensare lo spazio urbano, che deve diventare un luogo dove tutti devono avere più rispetto e maggiori responsabilità. Perché il diritto alla mobilità dei ciclisti è esattamente uguale al diritto alla mobilità degli automobilisti: le strade sono di tutti.

Le bike lane e come cambia la bici a Milano, ne parliamo con Marco Mazzei

I vialoni a corsia unica a causa delle bike lane, le strade urbane ciclabili con il “senso unico eccetto bici”, gli autovelox urbani: sono cambiamenti sotto certi versi scioccanti (ma necessari) per un paese come il nostro. Quella che stiamo attraversando adesso, come ha giustamente detto Mazzei, è una fase di transizione che man mano verrà sempre più normalizzata: “Arriviamo da un mondo dove regnavano l’automobile e tutti i suoi elementi. Una volta, appena uno compiva 18 anni, voleva la patente e la macchina. Già ora, però, la situazione sta cambiando. Quando la nuova generazione sarà più vecchia, metà di questi problemi si saranno risolti dal punto di vista culturale”.

Le bike lane sono una rivoluzione che, per ora, non sta piacendo a tutti. Il loro arrivo, però, era necessario sotto molti aspetti. Come valuti la questione?
“Per un numero molto lungo di anni, nella maggior parte delle città italiane, noi siamo stati abituati ad associare la strada alle automobili. Quindi per noi è normalissimo vedere uno spazio pubblico in cui quasi tutte le corsie sono dedicate alle automobili. A un certo punto, quando lo spazio pubblico era totalmente terminato, per dare più spazio alle auto hanno iniziato addirittura a disegnare i parcheggi sui marciapiedi e a trovare diversi altri modi per far passare degli oggetti dentro uno spazio che era ormai finito”.

Come facciamo per liberarlo, o per trovarne altro?
“A Milano e in altre città simili lo spazio è finito e non ce ne possiamo inventare di nuovo. Tant’è vero che a Milano e in Italia ci sono mediamente 50-60-70 auto per 100 abitanti, quando in tantissime altre città occidentali ce ne sono 25-30. Dopodiché, a un certo punto, molte persone si sono rese conto di volersi muovere a piedi o con mezzi diversi rispetto alle automobili. Siccome il diritto alla mobilità di queste persone non è diverso al diritto alla mobilità di chi sceglie l’auto, le amministrazioni devono dare a questi cittadini uno spazio che prima non avevano. E dato che lo spazio pubblico è terminato, e non possono agire sulle leggi della fisica, inevitabilmente devono togliere spazio a chi se lo era preso tutto in precedenza.”
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Una rivoluzione così importante, in un contesto in cui lo spazio pubblico è terminato, non può far contenti tutti.
“Le ciclabili vanno a certificare il diritto alla mobilità di chi sceglie mezzi alternativi alle auto. Vanno a togliere spazio alle macchine? Assolutamente sì, e menomale. Perché se lo togliessero ai pedoni, cosa che peraltro qualcuno cerca di fare costruendo percorsi ciclabili sui marciapiedi, sarebbe un gran problema. Ora bisogna vedere se le città saranno in grado di accogliere queste novità. Io penso che questa sia una fase di transizione alla quale tutti dovremo abituarci. Dovremo imparare tutti a condividere meglio gli spazi pubblici.”

Come vedi le critiche in merito alla sicurezza dei ciclisti su queste corsie che non mettono barriere fisiche tra bici/monopattni e auto?
“La questione della sicurezza, secondo me, è un falso problema. Partiamo da un presupposto: non credo che chi guida l’auto abbia la volontà di investire i ciclisti. Il fatto di disegnare uno spazio che incentiva l’uso della bici e che fa aumentare potenzialmente il numero di ciclisti, e di conseguenza la loro visibilità, va anche incontro a un’esigenza di sicurezza. Bisogna tenere in conto che, per le strade, ci sono altre cose che si muovono. Se sei un automobilista in un contesto nel quale sai che ci sono più bici e monopattini, ovviamente inizierai ad avere un atteggiamento più prudente. La sfida è costruire un ambiente urbano dove tutti sono chiamati a una maggiore responsabilità: ci vorrà un po’ di tempo”.

E anche una mentalità diversa, forse
“Gli stessi monopattini, che sono sotto la lente, è indubbio che in questo momento siano un po’ abusati. Dall’altra parte, però, tutta questa gente che sbuca fuori col monopattino permetterà agli automobilisti di adeguarsi e di fare più attenzione. Chi si muove in bici è giusto che abbia degli spazi tracciati, però io sono contrario all’eccessiva infrastrutturazione degli spazi. Se tu abitui le persone che la sicurezza in bici è legata solo alla presenza di una pista ciclabile, appena si trovano in una strada priva di ciclabili entrano in balia di un senso totale di insicurezza. Quindi il fatto di condividere la strada, anche con questi sistemi leggeri delle bike lane, è decisamente meglio dal punto di vista della costruzione di uno spazio sicuro.”

Inevitabilmente, in certe strade della città, ridurre le corsie per automobili a causa delle bike lane aumenterà gli ingorghi. Come ad esempio in viale Monza a Milano…
“Viale Monza è una via pericolosa: un po’ una terra di nessuno dal punto di vista della mobilità. Già in questi giorni, però, ho visto più cittadini percorrerla in bici. Inoltre è una strada sotto la quale corre la più importante metropolitana della città, dunque credo che le persone debbano abituarsi a utilizzarla. Così come altri mezzi. E in quel caso non ci saranno problemi di traffico troppo diversi a quelli di prima. Tra l’altro viale Monza, adesso, è di fatto una autostrada urbana, ma io spero che con queste misure si arrivi anche a ridimensionare la mobilità per far sì che i quartieri diventino più vicini tra loro.”

Dove può migliorare la nuova rete di ciclabili a Milano?
“Secondo me, i problemi della rete di bike lane a Milano sono due. Il primo riguarda i motorini, perché la maggior parte delle volte le automobili rispettano gli spazi. I motorini invece no, e hanno un modo di muoversi molto pericoloso rispetto alle bici. Il secondo problema è la sosta in seconda fila, abusiva. Non vedo un tema legato al fatto che le auto non rispettano la striscia per terra. Il problema vero è la sosta, e in questo caso il cordolo in gomma serve poco. Ora siamo in una fase di tolleranza rispetto a quello che parcheggia in seconda fila per andare a prendere il caffè. Ma si arriverà a una fase in cui questi comportamenti non verranno più tollerati, perché possono avere delle ricadute pesanti sulla catena della sicurezza. Il miglioramento non sta nel fatto di fare un po’ diversa la ciclabile, ma nell’agire sui problemi dei motorini e della sosta.”

Passando alla mini-riforma del Codice della Strada, ritieni l’arrivo delle corsie urbane ciclabili un passo in avanti?
“Sono un gran passo in avanti. E ti dirò di più: se tutti in città si muovessero a 25 all’ora come velocità massima, non avremmo bisogno di fare bike lane e piste ciclabili. E forse non ci sarebbe nemmeno bisogno dei marciapiedi: ci si potrebbe muovere tutti sullo stesso spazio.
Il vero tema è quello della velocità dell’automobile. I limiti non li hanno inventati a caso. Un incidente tra un pedone e una automobile che va a 30 chilometri orari, nella maggior parte dei casi, non è né letale né drammatico. Ma appena superi i 30 diventano sia drammatici, sia letali. In uno spazio urbano, dove magari un bambino può attraversare la strada all’improvviso, non è concepibile che un qualsiasi mezzo a motore e non a motore possa superare i 30 chilometri orari.”
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E in caso di violazioni potrebbero entrare in gioco i “famosi” autovelox urbani
“All’inizio potrebbero servire. Da una parte bisognerà fare un’azione culturale, per far capire alla gente che c’è bisogno di andare più piano. Ma da un’altra parte bisognerà fare un’azione sanzionatoria.

Sono nati tanti dibattiti anche attorno al discorso delle bici contromano. Una novità che, nell’immaginario collettivo, viene vista come un “liberi tutti” selvaggio per i ciclisti, ma in realtà è tutt’altro che così. Cosa ne pensi?
“È meglio trattare queste nuove situazioni sotto il termine di “sensi unici eccetto bici”, raccontarli come contromano fa immaginare un ciclista che, come un kamikaze, si lancia contro le auto. Questi sensi unici eccetto bici rendono i ciclisti molto più visibili alle automobili, perché li hanno lì davanti. Quando si va correre e ci si ritrova in strade con le auto, non si va seguendo il senso di marcia: si cerca di farsi vedere il più possibile dalle auto. Ecco, il principio è lo stesso. Vedo benissimo questo cambiamento, sempre per quel discorso che bisogna favorire e incentivare l’uso di un mezzo. E utilizzare alcune strade con questo metodo del senso unico eccetto bici le rende ulteriormente competitive per i ciclisti urbani.”
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L’Italia è un paese in cui la macchina è vista come qualcosa di intoccabile.Questa difficoltà nell’accettare norme e spazi che favoriscono i ciclisti è dovuta anche da fattori culturali?
“Arriviamo da un mondo dove regnavano l’automobile e tutti i suoi elementi. Una volta, appena uno compiva 18 anni, voleva la patente e la macchina. Già ora, però, questi numeri si stanno spostando in avanti: in città, per esempio, tanti ragazzi non guidano. Il mondo sta cambiando. Quando la nuova generazione sarà più vecchia, metà di questi problemi si saranno risolti dal punto di vista culturale. Purtroppo l’attuale generazione e quella precedente arrivano da un mondo dove l’automobile aveva tutta una serie di significati, ed è più difficile. C’è un legame un po’ morboso con l’automobile che, secondo me, va ridimensionato. Un po’ succederà normalmente, un po’ bisogna agire dal punto di vista culturale.”

La questione della cultura dell’automobile in Italia, forse, si riflette nelle dichiarazioni del presidente dell’Automobile Club d’Italia (ACI) sul rispetto dei limiti di velocità
“Le dichiarazioni del presidente dell’ACI credo siano incommentabili e imbarazzanti da ogni punto di vista. Se non ci rendiamo conto che nello spazio urbano c’è bisogno di un equilibrio e di un ripensamento, e che il numero di incidenti stradali è una emergenza, significa avere una visione un po’ distorta della realtà. Dipende tutto dai comportamenti e non dai mezzi? È vero, ma fino a un certo punto. I danni causati da uno sconsiderato in auto e da uno sconsiderato in bici sono totalmente diversi: entrambe le cose sono da evitare, però i danni hanno un impatto diverso sulla sicurezza delle persone.”
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Voi, così come tante altre associazioni ambientaliste e pro-bici, avete chiesto al Governo non solo le dimissioni del presidente dell’ACI, ma lo scioglimento dell’ente stesso: una richiesta molto forte. Come mai?
“L’ACI non serve assolutamente a niente. Tutte le funzioni che ha, come la tenuta del registro, possono essere svolte dal Ministero competente, che tra l’altro è l’organo che gestisce il discorso della carta di circolazione. C’è un ente pubblico che si occupa di automobili? Allora vorrei che ci fosse anche un ente pubblico che si occupa di biciclette e di altri mezzi. Ciò non toglie che sia legittimo che ci sia una associazione che si chiama ACI e che si occupa di promuovere automobili. Però deve essere una associazione che, in quanto tale, quando interviene nel dibattito pubblico lo fa con quel punto di vista”.

Questione anche di competenze?
“Non esiste che una associazione con un ruolo pubblico intervenga in un dibattito sulla sicurezza dichiarando che i limiti di velocità si possono anche superare. E, ripeto, a oggi non c’è alcuna ragione tecnica che giustifichi l’esistenza dell’ACI. Tanto è vero che, negli anni scorsi, un sacco di governi hanno tentato di abolirlo. Bersani, mi sembra, ai tempi disse che la lobby più potente non è quella dei tassisti o quella dei notai, ma quella dell’ACI. Quindi, dato che si ha a che fare con una lobby molto potente che si muove, è sempre stato difficile abolire l’ACI. Non ho niente contro l’ACI come associazione privata che promuove l’uso dell’automobile. Ma lo deve fare solo in quel contesto.”
(Photo by Flickr / Comune di Milano)

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