Ho finito la mia prima Reebok Spartan Race

Reebok Spartan Race 2015 Claudio Gervasoni

Sono arrivato al traguardo, ho conquistato la medaglia e posso dire che sì, sono un finisher della Reebok Spartan Race. Della mia prima Spartan Race, quella di Milano del 13 giugno 2015, che abbiamo corso a Cardano al Campo nel crossodromo accanto all’aeroporto di Malpensa.

E comunque, se avete cliccato per sapere com’è correre e terminare una Reebok Spartan Race, mi dispiace ma la risposta è una sola: bisogna correre e arrivare fino in fondo per capire davvero cos’è.

Ci eravamo anche un po’ preparati, cercando di prevedere gli ostacoli (qui avevamo anche letto come si superano i più comuni ostacoli della Spartan Race) e di allenarci un po’ (qui avevamo anche scritto di come ci si allena per la Spartan Race). Poi però ogni corsa è una storia a sé. Per esempio, noi abbiamo corso dopo una notte ininterrotta di temporali su tutte le Prealpi varesine, e il risultato è stato uno solo: fango come se non ci fosse un domani. Non solo nei guadi e nelle zone predisposte per inzaccherarsi un po’ scarpe e tutto il resto. C’era fango ovunque, lungo tutto il percorso, e anche fuori nelle aree per il pubblico. Pareva Apocalypse Now. Bellissimo. Davvero.

Che poi i 6 km e rotti di corsa sono forse la cosa più semplice da fare. Anche perché correndo nel fango era più che altro una corsa a passettini rapidi e accorti, in fila indiana nei passaggi più stretti, un po’ più sciolta quando c’era un sentiero più aperto.

Il vero casino è stata la corda su cui issarsi: impossibile. Alle 4 del pomeriggio, dopo qualche migliaio di persone, era una specie di frusta inafferrabile: ci abbiamo provato un paio di volte e poi via, 30 burpees e amen. Non è stata una resa, ma il piano B per giungere al traguardo. Altro terno al lotto il giavellotto: one shot one goal, che non è andato e allora via di altri 30 burpees. Per un totale di 60 lungo tutto il percorso, perché gli altri ostacoli li abbiamo superati tutti più o meno agilmente.

Quello che ci ha messo davvero a dura prova son stati i sacchi da portare in cima alla collina e poi riportare alla base: in vetta ci siamo fermati qualche secondo perché eravamo a pezzi, gambe e schiena. Il filo spinato invece l’abbiamo superato rotolando sul fianco: c’era chi strisciava come un soldato, ma a noi il modo più ergonomico per passare indenni da pungiglioni e sassi è sembrato rotolare su noi stessi per tutto il tratto col filo spinato. Ci siamo presi qualche secondo per ripristinare l’equilibrio appena rialzati, ma poi siamo ripartiti alla grande.

Reebok Spartan Race 2015  Claudio Gervasoni

I muri… be’, sui i muri il problema vero è stato scendere senza inchiodarsi. Salire siamo saliti, più o meno senza problemi, ma la discesa era una patina di fango e c’è voluta qualche accortezza in più per riuscire a tenere l’equilibrio. Poi il bello della Spartan Race è che acuisce il senso di adattamento, per esempio nelle discese dalle colline: ormai erano uno scivolo liso di fango e stare in piedi era davvero complicato. E così, via, siamo scivolati insieme a tanti altri, un po’ come sulla neve, e siamo arrivati a fine corsa più velocemente e con meno imprevisti che non camminando eretti.

I guadi nel fango sono una libidine coi fiocchi. Quella cosa per cui ti immergi nel fango e cammini, come sognano di fare i bambini e come praticamente non ti capita quasi mai di fare nella vita urbana, è una delle sensazioni più belle della Spartan Race. Un po’ un ritorno ai primordi, alle cose davvero belle, concrete, basiche, con l’acqua alla vita, i piedi che si impantanano, le ginocchia sbucciate che bruciano un po’, però tutto è bellissimo. Davvero.

Ci preoccupavano un po’ anche le scale di corda, ma basta avere un po’ di tecnica (o copiare quelli che ce l’hanno, a proposito di spirito di adattamento) e vanno via veloci e divertenti.

Insomma, per capire davvero com’è correre una Spartan Race e tagliare il traguardo infilandosi al collo la medaglia del finisher c’è solo un modo: correre una Reebok Spartan Race, e farlo all’insegna dello spirito di adattamento e dell’obiettivo di raggiungere il traguardo. Perché quello che conta davvero è arrivare all’ostacolo di fuoco, saltarlo di slancio e alzare le braccia sentendosi davvero uno Spartano. Aroo!

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