Il Coronavirus resiste nell’aria fino a 16 ore

Il Coronavirus resiste nell'aria fino a 16 ore

Il Coronavirus resiste nell’aria 16 ore, e se così fosse sarebbe un fattore da tenere in considerazione anche per ogni tipo di pratica sportiva, da quella all’aperto, per cui si invoca da più parti un allentamento alle restrizioni a partire dal 4 maggio, a quella indoor in palestre, piscine e centri fitness che chissà quando riapriranno. Che le particelle del nuovo Coronavirus restino in sospensione nell’aria fino a 16 ore lo afferma una ricerca condotta dalla Tulane University con l’Università di Pittsburgh e l’istituto per lo studio delle malattie infettive Niaid, dei National Institute of Health (Nih), pubblicata su MedRxiv. Secondo lo studio americano le goccioline in sospensione nell’aria potrebbero mantenere la loro carica virale più a lungo di quanto finora ipotizzato, almeno nelle condizioni controllate e di laboratorio nelle quali è stato condotto l’esperimento. Secondo i ricercatori americani le particelle di bioaerosol con un diametro variabile da 1 a 3 millesimi di millimetro (micrometri), manterrebbero la loro carica virale anche dispersi nell’aria, non solo su brevi distanze, e fino a 16 ore. Un dato ben maggiore di quello rilevato dall’analisi di altri Coronavirus come quelli della SARS e della MERS.

Il Coronavirus resiste nell’aria fino a 16 ore

Tuttavia su questa resistenza della carica virale del Coronavirus nell’aria non c’è unanimità nella comunità scientifica e sono necessari alcuni chiarimenti. In primis occorre distinguere tra bioaerosol e droplets. I droplets sono delle vere e proprie goccioline di saliva o muco, visibili anche a occhio nudo, emesse con colpi di tosse e starnuti, e che possono contenere il virus che causa il COVID-19, virus solitamente di un diametro tra i 20 e i 300 nanometri (milionesimi di millimetro), quindi 100 volte più piccoli della stragrande maggioranza dei batteri. Ciò che finora è certo e certificato dall’OMS è che i droplets solitamente cadono a distanza di 1 metro dalla persona che li emette (anche se nel caso di corsa e bicicletta si potrebbe creare uno sciame ben più ampio, come spiegato qui) e che, se si depositano su una superficie potrebbero mantenere la loro carica virale per un tempo non ancora stabilito con certezza. Da questi due fatti derivano le misure di distanziamento sociale e le raccomandazioni sull’uso di mascherine e guanti, di lavarsi frequentemente e accuratamente le mani e di non toccare bocca, naso e occhi.

Il bioaerosol

I bioaerosol di cui parla la ricerca americana e che manterrebbero la carica virale fino a 16 ore sono un’altra cosa. Sono cioè sostanze di dimensioni più piccole rispetto ai droplets, invisibili a occhio nudo, più leggere e che quindi permangono nell’aria più a lungo e possono coprire distanze molto più ampie e sicuramente superiori al metro di distanza raccomandato. Per esempio il bioaerosol è ciò che emettiamo anche solo respirando, pur senza tossire o starnutire, e il dubbio degli scienziati e alla base della ricerca pubblicata su MedRxiv è che possano essere un veicolo di contagio anche per il Coronavirus.

Le ricerche sulla trasmissione virale attraverso il bioaerosol, cioè il semplice respiro, non sono una novità legata al Coronavirus. Alcune sono già state condotte per altri virus, compreso il semplice virus influenzale per il quale una ricerca del 2018 pubblicata su PNAS ha riscontrato che il 39% delle persone con l’influenza ne trasmetteva il virus infetto attraverso la respirazione e il bioaerosol. Tuttavia nonostante numerose ricerche, ancora in fase di revisione, condotte in Cina, a Singapore e in Corea su ambienti come supermercati, ospedali, stanze di quarantena e altri spazi di comunità, secondo l’OMS non ci sarebbero prove certe e definitive sulla trasmissione del virus attraverso il respiro e il bioaerosol (una buona sintesi di queste ricerche e conclusioni è pubblicata su Nature).

Come un virus si trasmette nell’aria

C’è poi un altro aspetto da considerare nell’affermazione per cui il Coronavirus resiste nell’aria 16 ore, ed è capire cosa significa esattamente che un virus si trasmette nell’aria. Nonostante le evidenze per cui il virus circola nell’aria circostante i pazienti ricoverati negli ospedali, sia trasmesso dagli impianti di areazione e sia stato trovato su superfici di bagni e pavimenti dei reparti COVID-19 degli ospedali, secondo una ricerca pubblicata su JAMA non ci sono prove che queste particelle siano effettivamente contagiose. L’ipotesi è quindi che sì, il virus resiste nell’aria anche a lungo, ma perdendo la sua carica virale o comunque in concentrazioni estremamente basse da rappresentare un pericolo limitato.

La fonte di contagio

A sostegno di questa ipotesi ci sono i dati raccolti a febbraio proprio a Wuhan, epicentro e primo focolaio della pandemia. Dalla raccolta di campioni d’aria in aree pubbliche all’aperto non è stata rilevata la presenza di virus e soprattutto non ne è stata accertata la carica virale (al contrario di quanto accertato per altri Coronavirus come la MERS). Ci sono anche i dati di una ricerca americana pubblicata sempre su MedRxiv secondo la quale sì, il Coronavirus resiste nell’aria e si propaga sotto forma di bioaerosol ma questo non è fonte di contagio. Cioè le particelle di bioaerosol emesse da persone affette da COVID-19 hanno sì al loro interno il virus ma non sono infettive, non sono veicolo di contagio.

Quindi, in conclusione, è sì importante sapere che il Coronavirus può resistere nell’aria fino a 16 ore, ma ancor più sapere con certezza se questa sua capacità di permanere nel bioaerosol e propagarsi anche a distanza maggiore di 1 metro sia effettivamente una fonte di contagio e, nel caso, quale sia la concentrazione di virus nell’aria che possa dare origine alla trasmissione del Coronavirus da persona a persona.
Photo by Sirirak Boonruangjak from Pexels

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