Perché gli sportivi sono scaramantici?

Non è vero ma ci credo: nello sport regna la scaramanzia ma c'è un motivo ben preciso e ha a che fare con il vantaggio evolutivo

Lo sport è il tempio della scaramanzia e si sprecano gli aneddoti più o meno ammessi di atleti, squadre e allenatori scaramantici che hanno affidato le proprie fortune e vittorie a riti e gesti propiziatori. Per esempio, una volta la Seleção giocava con la maglietta bianca col colletto blu e i pantaloncini e i calzettoni bianchi. Ben prima del 1 a 7 contro la Germania dei mondiali del 2014 (subito ribattezzato Mineirazo) con quella divisa la nazionale di calcio del Brasile subì la più deludente delle proprie sconfitte, il celeberrimo Maracanazo, ovvero l’imprevedibile e inaspettata sconfitta contro l’Uruguay nella finale dei Mondiali di calcio del 1950 al Maracanà di Rio de Janeiro. Era la nazionale di Jair, ed erano talmente convinti di vincere che si schierarono addirittura con un super offensivo 2-3-4-1 che portò al vantaggio di Friaça. Sembrava fatta, quando l’Uruguay di Chiggia e Schiaffino infilò un uno-due che ammutolì lo stadio.

Dal Maracanazo al Mineirazo

Il dopo partita fu drammatico: decine di suicidi in tutto il paese, autorità sportive allo sbando, e la Seleção che per due anni non giocò alcuna partita di calcio. E fra le molte conseguenze ci fu anche quella scaramantica di cambiare i colori della divisa da gioco in quelli attuali: maglia giallo oro con colletto verde, pantaloncini blu e calzettoni bianchi.

Matteo Tagliariol, il re di spade degli scaramantici

Matteo Tagliariol è il “re di spade”: campione olimpico a Pechino 2008, due volte argento mondiale e un sacco di vittorie nel palmarés. Eppure alla vigilia dei mondiali del 2011, che si tennero in Italia, a Catania, lanciò dal suo sito Internet un contest chiedendo ai fan di suggerire il gesto scaramantico che potesse portarlo alla vittoria (qui la notizia sul sito della Federazione Scherma, per dire che non si scherza).

Da Michael Jordan a Valentino Rossi: non è vero ma ci credo

Vero o meno che sia, gli sportivi ci credono eccome: in Formula 1 le coppie di numeri delle macchine di ciascuna scuderia passano dall’11-12 al 14-15, saltando bellamente il 13 (e son quasi 40 anni che nessuno corre in Formula 1 con il numero 13…). Michael Jordan, probabilmente il più grande giocatore di basket di ogni tempo, giocò per tutta la carriera indossando sotto la divisa ufficiale dei Chicago Bulls i pantaloncini dell’università del Nord Carolina. Trapattoni, ai mondiali di calcio del 2002 andava in panchina con una boccetta di acqua santa (cosa che pare fare anche Antonio Conte, ex CT azzurro e ex allenatore dell’Inter), e Maradona a quelli del 2010 seguì ogni partita con un rosario nella mano sinistra. Per non parlare del mitico Romeo Anconetani, presidente del Pisa Calcio, che spargeva sale a piene mani sul terreno di gioco prima di ogni incontro. E ancora: Felipe Massa usava le stesse mutande sia nelle prove del sabato che in gara la domenica, Valentino Rossi non permette che il casco tocchi terra (evidente allusione alla possibilità di una caduta), Rafa Nadal gira sempre le etichette delle bottiglie d’acqua verso il campo e Tiger Woods, il golfista, non gioca se non ha una t-shirt rossa.

Ovviamente tutti questi, e molti altri, vincono e perdono senza nessuna correlazione di causa-effetto con i propri rituali propiziatori. Eppure…

La scaramanzia è una scienza esatta

Eppure se fate o amate lo sport, sapete benissimo che per gli sportivi la scaramanzia è una scienza esatta. Lo sappiamo tutti che non è vero, che non c’è nessun fondamento logico, che razionalmente non sta in piedi – però funziona, diciamo tutti più o meno sottovoce. E allora perché chi fa sport è scaramantico? Perché la scaramanzia è questione di abitudine, e le abitudini – ovvero quei gesti che facciamo e ripetiamo senza pensarci veramente troppo – hanno a che fare con l’evoluzione della specie. Ovvero con la capacità di imparare a massimizzare il risultato minimizzando lo sforzo.

La dimostrazione? Il celeberrimo esperimento di Burrhus Frederic Skinner sulla scaramanzia nei piccioni.

Anche i piccioni sono scaramantici

Nel suo esperimento del 1947 Skinner prese dei piccioni e li mise in alcune gabbie dotate un dispositivo che elargiva cibo ogni 15 secondi. All’inizio i piccioni rimanevano passivi in attesa del cibo, poi Skinner coprì le gabbie per 50 minuti. Quando tolse i teli i piccioni avevano sviluppato dei comportamenti rituali (come girare tre volte su se stessi) prima di beccare il cibo. In pratica i piccioni si erano convinti che queste azioni rituali fossero in grado di favorire l’elargizione di cibo da parte del distributore automatico. Noi sappiamo che non è così, ma i piccioni non potevano (e non possono) saperlo.

Nelle cose dello sport e della vita in cui c’entra la scaramanzia, noi ci comportiamo esattamente allo stesso modo: dovendo capire i motivi del successo o dell’insuccesso di qualcosa (vincere una gara, evitare di farci male, passare un esame, superare un colloquio di lavoro) e dovendo anche ottimizzare i nostri sforzi mentali e fisici, ci convinciamo che ripetere ciò che abbiamo fatto appena prima di un precedente caso di successo sia il giusto viatico per ottenere lo stesso risultato. Come se ci fosse una relazione di causa-effetto tra toccarsi nelle parti basse e alzare un trofeo.

Agli occhi di uno psicologo, tutti questi riti scaramantici non sono altro che le giravolte dei piccioni nella gabbia: un modo economico dal punto di vista delle risorse mentali e fisiche per entrare nella comfort zone che precede un evento importante.

E comunque la scaramanzia funziona

Servisse ancora una dimostrazione che i gesti scaramantici influenzano davvero le prestazioni sportive, c’è l’esperimento condotto dalla dottoressa Lysann Damisch, psicologa dell’Università di Colonia, in Germania, pubblicato su Psychological Science (e intitolato scherzosamente ma non troppo Incrocia le dita): la Damisch si fece consegnare da una serie di atleti i loro oggetti portafortuna. Poi ad alcuni li restituì, ad altri no, accampando qualche scusa. Be’, tornati a gareggiare, gli atleti che avevano perso il loro amuleto di fiducia avevano anche registrato prestazioni di gran lunga inferiori al loro solito.

Entrare nello stato alterato

Individuali o di squadra, gesti e abitudini dal vago sapore rituale servono sostanzialmente a ripercorrere quelle tracce neurologiche (le cosiddette tracce mnestiche, ovvero il modo in cui gli eventi sono trascritti nella memoria) che aiutano gli atleti a entrare in quello stato particolare di alterazione concentrazione e controllo emotivo tipico della prestazione sportiva.

Per questo i gesti rituali – purché unici, personali e emotivamente introiettati – funzionano: perché servono ad aumentare il livello di locus of control interno, quella convinzione secondo la quale il successo o l’insuccesso dipende dalla nostra capacità di governare gli eventi grazie alle nostre abilità e volontà (al contrario, chi ha un elevato livello di locus of control esterno crede che i fatti accadano a causa di fattori esterni come il destino).

Non vogliamo sapere cosa succede altrimenti

Perché, in fondo in fondo, noi non vogliamo rischiare di scoprire cosa succede se cambiamo. E benché del tutto irrazionali, i rituali scaramantici sopravvivono perché dal punto di vista evolutivo ci risparmiano lo sforzo di pensare alle cause vere, logiche e razionali di ciò che ci accade. E questo, a lungo termine, è un vantaggio evolutivo perché ci permetterebbe di dedicare energie fisiche e mentali ad altre cose.

PS: ora potete smettere di fare le corna, toccare ferro e tenere le dita incrociate.

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