Road to IronMan Copenhagen 2019: storie di triathlon, sicurezza e ossi buchi

IronMan Copenhagen 2019

Inizia oggi il racconto semiserio di un percorso di avvicinamento che un uomo di mezza età (sarebbe meglio dire nella seconda metà dell’età) ha deciso di intraprendere verso Ironman Copenhagen 2019 il prossimo agosto.

Road to IronMan Copenhagen 2019: storie di triathlon, sicurezza e ossi buchi

Sono passati otto giorni dalla mail di conferma: lui sostiene che quando la riceve è sempre un momento topico, torna ad essere un bambino il giorno del compleanno. Il messaggio ha il logo dell’omino rosso bello in evidenza, è sintetico perché in fondo non c’è molto da dire: Mr. Carlo Brena, la tua iscrizione all’IronMan Copenhagen 2019 è stata accettata. Punto. La rilegge un paio di volte per accertarsi di aver capito bene, ma sa che è esattamente quello che si aspettava. Ed è esattamente quello che vuole: trovare qualcosa da fare nei prossimi sei mesi. Il D-day è il 18 agosto, lo aspettano 3.8 chilometri di nuoto nelle acque della sirenetta, 180 chilometri di ciclismo nel vento dello Jutland e una maratona tra le vie della capitale.

Dopo aver riletto per l’ennesima volta la mail, al Carlo si spegne il sorriso e gli cala addosso una betoniera di preoccupazioni.

Sì perché un IronMan non lo si improvvisa, si sa, serve preparazione, dedizione, organizzazione, abnegazione, persino vocazione. In una sola parola: allenamento, che altro non è quella cosa a cui il Carlo rivolge il primo pensiero al mattino, e che merita anche quello della buonanotte.
Sei mesi intensi che saranno raccontati in tutti i suoi aspetti, perché se è vero che il nostro aprirà e chiuderà la giornata con il pensiero fisso alla Danimarca, è altrettanto vero che in mezzo c’è il vortex della sua quotidianità fatta di lavoro, di famiglia, di casini, di una macchina da portare al tagliando, di una visita da prenotare dall’endocrinologo, del traffico in tangenziale est, del cane da portare fuori. E forse, a guardar bene, l’allenamento vero e proprio – quello tra piscina, bici e scarpette da corsa – per il Carlo sarà una passeggiata di salute.

E se è vero che saranno sei mesi impegnativi «da qualche parte bisogna pur iniziare» dice a sé stesso, e così una mattina santificata dal cielo velato, tira giù dai ganci la bici e fa scattare il click delle scarpe nei pedali. Ma per il giovane cinquantenne delle Orobie, la domenica mattina ha il suo rituale: prima di scendere in garage alza il coperchio della padella e viene travolto dalla visione di splendidi ossibuchi al porro schierati in formazione nel cerchio del grande tegame, pronti a cuocere e che andranno ad arricchire una polenta che ribolle nel paiolo di rame. A più tardi, e il Carlo chiude la cucina alle sue spalle per sollevare la claire del garage e fiondarsi a prendere la bici: mentre pedala pensa che avrebbe dovuto oliarla, controllare i freni, il settaggio, e tutte quelle cose che fanno i bravi meccanici, ma la voglia di far girare le gambe era così tanta che ha semplicemente portato a 8 la pressione delle gomme, e via in strada.

Il Carlo da anni ha una certa prassi: la prima vera uscita la fa in mountain bike sulla pista ciclabile della Val Seriana, più che un allenamento diciamo un ‘portare a spasso i pensieri’ come quello, fisso, che l’importante è riportare a casa la bici integra, perché se la rimetti sul gancio così come l’hai tolta, allora vuol dire che tutto è filato liscio. Finché sei sulla ciclabile sei in una comfort zone «a parte le mamme con i passeggini che svoltano senza mettere la freccia» ci racconta nella chat, ma appena il Carlo si ritrova a pedalare in strada capisce al volo che la bellezza di pedalare ha un prezzo: il rischio della vita.

Le macchine di oggi raggiungono i 100 km orari in pochi metri, hanno dimensioni più grandi del passato, sono aumentate in numero e qualità, ma le strade sono sempre le stesse e la convivenza tra ciclisti e automobilisti diventa importante perché ognuno possa mangiare i propri ossi buchi. E il Carlo lo sa bene.

IronMan Copenhagen 2019

Per esempio ieri sera ha rimesso in carica il Varia Radar, lo strumento che posizionato sotto la sella della bici segnala sul computerino al manubrio se alle sue spalle sta arrivando una o più macchine. E la luce rossa del radar aumenta il lampeggio all’avvicinarsi dell’autovettura. Il Carlo dice che non esce più senza, che ormai divide lo sguardo tra quello che vede davanti e il bip bip del computerino che segnala il sopraggiungere delle macchine sulle sue code. Ma non è necessaria la più alta tecnologia in circolazione per ridurre il rischio di incidenti: a volte è sufficiente un gilet giallo (senza per questo essere un anti-Macron incazzato) che, certo non è il massimo sotto il profilo del look, ma rende visibile la parte più debole della strada: il ciclista. Lo stesso che vorrebbe tornare a casa dove lo aspetta un piatto di ossi buchi con polenta.

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