Uso droni in parchi e riserve naturali: multa e processo penale

Uso droni in parchi e riserve naturali: multa e processo penale

L’uso dei droni in parchi e riserve naturali può comportare una multa e il conseguente processo penale. È quello che ha scoperto a proprie spese un semplice appassionato di droni che stava pilotando il suo velivolo nel Parco del Monviso, sul lago Fiorenza, appena oltre le sorgenti del Po a Crissolo. Scoperto in flagranza di reato, l’ignaro escursionista si è visto addebitare a pieno diritto una multa da 1000 euro e la denuncia per alcuni reati che ora sfoceranno in un processo penale. E non è il solo ad aver fatto male i conti con la sua passione per i droni: pochi giorni prima un altro hobbista aveva pubblicato sui propri canali social (Facebook, Instagram e Youtube) le riprese di un volo dal lago Chiaretto fino alla cima del Monviso, per oltre 1000 metri di dislivello: rintracciato dal servizio di vigilanza del Parco del Monviso ha dovuto rimuovere i video, pagare una multa e scusarsi pubblicamente pubblicando un posto in cui diffidava i suoi follower dall’emulare il suo gesto perché si tratta di un “illecito amministrativo e penale“. Ma è davvero così?

Multa e processo penale per l’uso di droni in parchi e riserve naturali: è davvero così?

Sì, è davvero così, usare dei droni all’interno di Parchi e Riserve Naturali significa essere sanzionabili con una multa, anche parecchio salata, e dover affrontare un processo penale. Questo per due ordini di motivi: uno legato al regolamento ENAC – Ente Nazionale per l’Aviazione Civile, e uno legato allo specifico regolamento delle aree protette.
Il regolamento dell’ENAC distingue 3 categorie di droni (in realtà chiamati SAPR o Mezzi Aerei a Pilotaggio Remoto): quelli per scopi ricreativi, di peso inferiore ai 300 grammi, con le eliche protette, velocità massima di 60 km/h e guidati sempre sotto il controllo visivo, che si possono far volare anche in città, nei parchi urbani (stando ad almeno 5 km dagli aeroporti) e per i quali non serve l’attestato di pilota; quelli sempre ricreativi e sportivi ma non cosiddetti “inoffensivi” come i precedenti, per i quali bisogna sottostare al Regolamento sugli aeromodelli dell’ENAC; e infine i cosiddetti APR (aeromobile a pilotaggio remoto usato con rilevanza economica) usati a scopo professionale per i quali l’operatore deve sottostare al rispetto delle regole dell’aria e quindi serve l’attestato di pilota.

Oltre a ciò però c’è anche lo specifico regolamento delle aree protette, e qui le cose si complicano ulteriormente. C’è infatti una legge nazionale, la 394 del 1991 “Legge quadro sulle aree protette”, che stabilisce che il patrimonio naturale sul territorio nazionale deve essere sottoposto ad uno “speciale regime di tutela e di gestione” che comprende anche il rispetto della fauna selvatica, che potrebbe essere disturbata dal rumore e dalla presenza dei droni nonché dalla loro caduta accidentale. Poi c’è poi la questione della tutela della privacy, che potrebbe essere violata per esempio nel caso di un hobbista che filmasse dei gitanti utilizzando il drone e poi pubblicasse il video sui propri canali social. E infine ci sono i singoli regolamenti di Parchi, aree protette e riserve naturali che potrebbero prevedere ulteriori limitazioni. Per questi motivi l’uso dei droni, di qualunque tipologia, è vietato nelle aree protette, naturali e nelle riserve di tutto il territorio nazionale, e consentito solo nel caso sia esplicitamente autorizzato in seguito a domanda motivata inoltrata al singolo ente di gestione del parco. Questo significa che non basta inoltrare la domanda e fare leva sul silenzio assenso, ma occorre ricevere nulla osta formale al fine di utilizzare il drone in un area naturale protetta. E normalmente questi permessi vengono rilasciati solo nel caso di rilevanti esigenze scientifiche o di divulgazione, non per gli scopi ricreativi.

Foto di Lukas Bieri da Pixabay

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