Nel cuore selvaggio della Barbagia, tra maestose foreste di lecci e aspre rocce calcaree, nasce la Sebada. È un piatto che sfugge alle definizioni: troppo sostanzioso per essere un semplice dessert, ma troppo unico per essere considerato un antipasto. Parliamo infatti di un disco di sfoglia dorata e croccante, preparato con semola di grano duro e lavorato con lo strutto secondo l’antica tradizione. Al suo interno si nasconde un cuore morbido di pecorino freschissimo (o di cagliata fresca di pecora), lasciato inacidire al punto giusto per diventare filante e sprigionare una nota piacevolmente acidula.
Il tocco finale è un contrasto sublime di miele di corbezzolo (o di castagno). Con il suo retrogusto amaro e il colore ambrato, avvolge la pasta fritta creando un equilibrio di sapori che è l’essenza stessa della Sardegna. Che vi troviate sulle vette del Supramonte o nelle valli della Gallura, ogni assaggio racconta storie di transumanza e di un’accoglienza sincera.
Origini del piatto
La Sebada (o Seada secondo le diverse varianti linguistiche locali) rappresenta il vero biglietto da visita della Sardegna più autentica e profonda. Sebbene oggi sia possibile gustarla in ogni angolo dell’isola, la sua vera patria risiede nei territori dell’entroterra. In origine, questo capolavoro gastronomico nasceva come un piatto unico e nutriente che le donne preparavano con cura per celebrare il ritorno dei pastori dai lunghi mesi della transumanza.
Esperienze outdoor nella Sardegna più autentica
Per assaporare una Sebada che sia davvero figlia del territorio, occorre spingersi nei luoghi in cui il confine tra l’ovile e la cucina è quasi inesistente.
Supramonte di Oliena e Orgosolo: il regno del calcare
Questa è la Sardegna più primordiale, un labirinto di calcare bianco dove il trekking si fa serio e i sentieri sono tracciati dal calpestio millenario di mufloni e pastori. Uno dei percorsi più iconici è l’ascesa al Monte Corrasi, la cima più alta del Supramonte, in cui si cammina su campi solcati e rocce affilate in un paesaggio lunare.
In alternativa, il trekking verso Tiscali porta dentro una dolina dove i resti di un villaggio nuragico sono letteralmente appesi alle pareti di roccia. È un percorso di circa 3 ore tra andata e ritorno, con pendenze che richiedono scarponi da trekking veri.
La Valle di Lanaitho: Tra Grotte e Canyon
Lanaitho è un portale d’accesso al cuore della terra, un canyon naturale circondato da pareti verticali che sembrano proteggere le tradizioni più antiche.
Ciò vuol dire che da questa parti l’outdoor si vive “dentro” la montagna. L’esplorazione del sistema carsico di Sa Oche e Su Bentu (La Voce e Il Vento) è un’esperienza mistica. La valle, tra le altre cose, offre sterrati tecnici che si snodano tra monumentali olivastri millenari. Il terreno è polveroso e impegnativo, tipico della macchia mediterranea più selvaggia.
Dove mangiare: locali autentici
Se si desidera l’autenticità lontano dai circuiti turistici di massa, vi consigliamo di puntare su questi riferimenti:
- Agriturismo Su Pratu (Orgosolo): qui l’ospitalità barbaricina è di casa. La Sebada è fatta a mano dalle donne della famiglia e il formaggio ha quella spinta acida tipica della lavorazione artigianale senza fermenti industriali.
- Cooperativa Enis (Monte Maccione, Oliena): situata in una pineta con vista mozzafiato, è il punto di sosta strategico per chi scende dal Corrasi. La loro Sebada è celebre per la qualità del miele locale utilizzato.
- Pastificio Artigianale “Murgia” (Nuoro): se ci si vuole portare un pezzo di Sardegna a casa o fare un picnic, questo è un indirizzo storico. Le loro Sebadas sono famose in tutta la provincia per l’equilibrio della pasta violada.
Foto Canva
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