Di fronte a un dodicenne che dribbla tutti o a una ginnasta di otto anni che compie evoluzioni perfette, ma anche ai migliori della classe alle elementari, la reazione è automatica: “Ecco un futuro campione”. Ma la scienza ci sta dicendo sempre più spesso che stiamo commettendo un errore di valutazione colossale.
Una recente e rivoluzionaria ricerca pubblicata sulla prestigiosa rivista Science (“Recent discoveries on the acquisition of the highest levels of human performance“, di dicembre 2025) conferma quello che molti allenatori ed educatori lungimiranti sospettavano da tempo: essere i migliori da piccoli non è quasi mai un prerequisito per diventarlo da adulti.
Il mito della specializzazione precoce
Per decenni abbiamo creduto alla “regola delle 10.000 ore”, quella di Agassi o Bill Gates ma anche dei violinisti resa popolare da Malcolm Gladwell: per diventare un fenomeno, devi iniziare il prima possibile e fare solo quello. I ricercatori Arne Güllich e Brooke Macnamara, autori dello studio su Science, hanno però smontato questa teoria analizzando migliaia di atleti.
I dati parlano chiaro:
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Mancanza di correlazione: c’è pochissima sovrapposizione tra chi domina nelle categorie giovanili e chi raggiunge l’apice della carriera senior.
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Il paradosso della selezione: i sistemi che selezionano i bambini a 8 o 10 anni spesso finiscono per scartare i “late bloomers” (quelli che sbocciano tardi), che sono statisticamente quelli con il potenziale più alto a lungo termine.
Il Modello Federer: perché il “Range” vince su tutto
Nel suo bestseller Range, il giornalista scientifico David Epstein mette a confronto due modelli: Tiger Woods (specializzazione estrema fin dai 2 anni) e Roger Federer. Quest’ultimo, prima di dedicarsi anima e corpo al tennis, ha giocato a calcio, squash, basket e praticato lo sci.
La scienza della performance definisce questo periodo “Sampling Period” (periodo di campionamento). Praticare sport diversi da bambini sviluppa un’intelligenza motoria superiore e, soprattutto, previene il burnout. Chi si specializza troppo presto tende a stancarsi o a subire infortuni da sovraccarico prima ancora di arrivare al professionismo.
L’effetto dell’età relativa: l’equivoco di gennaio
Un’altra evidenza scientifica fondamentale che ogni genitore e coach dovrebbe conoscere è il Relative Age Effect (RAE). Negli sport giovanili, la maggior parte dei “talenti” selezionati sono nati nei primi mesi dell’anno (gennaio, febbraio, marzo). Perché? Semplicemente perché a 10 anni, avere 10 mesi di crescita in più rispetto a un compagno nato a dicembre significa essere più alti, forti e veloci.

Non stiamo selezionando il talento, stiamo selezionando la maturità biologica momentanea. Quando la crescita si livella, verso i 16-18 anni, il vantaggio fisico scompare e spesso il “bambino prodigio” si ritrova senza gli strumenti tecnici e psicologici necessari per competere, perché non ha mai dovuto faticare per emergere.
Cosa dice la meta-analisi di Güllich del 2021
In uno precedente studio monumentale che ha coinvolto oltre 6.000 atleti, Güllich ha dimostrato che:
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Gli atleti di classe mondiale hanno iniziato lo sport principale più tardi rispetto agli atleti di livello nazionale (non d’élite).
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Hanno praticato più sport contemporaneamente durante l’infanzia.
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Hanno accumulato meno ore di pratica specifica nello sport principale durante la giovinezza.
Consigli pratici per genitori e istruttori
Se vogliamo davvero coltivare il talento, dobbiamo cambiare approccio:
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Non abbiate fretta: se vostro figlio non è il “titolare” a 11 anni, non è un dramma. Anzi, potrebbe essere un vantaggio psicologico (impara a guadagnarsi il posto).
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Incoraggiate la multidisciplinarità: lasciate che giochino a calcio, facciano arrampicata, nuoto o atletica (e magari anche che suonino uno strumento musicale o facciano anche altre attività pratiche e creative). Ogni disciplina regala schemi motori che verranno utili in futuro.
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Focus sul processo, non sul trofeo: in età giovanile, la vittoria è un pessimo indicatore di crescita. Valutate il miglioramento tecnico e il divertimento.
In conclusione: il prossimo campione olimpico probabilmente oggi non è sul gradino più alto del podio di una gara regionale. È un bambino che sta provando diversi sport, che impara a perdere e che sta costruendo, un pezzetto alla volta, la base solida per un futuro successo.
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