Strade che si arrotolano come pasta fresca: inseguendo (e mangiando) gli Agnolotti del Plin tra le colline piemontesi

Gli Agnolotti del Plin uniscono un ripieno profondo a una sfoglia sottile che profuma di casa: un assaggio che racconta le Langhe, dove colline, vigne e memoria danno sapore a ogni gesto

Ravioli del Plin, Piemonte

Oltre a essere un piatto-simbolo del Piemonte meridionale, gli Agnolotti del Plin sono la chiave d’accesso a un territorio che vive ancora del ritmo delle sue colline. Questa deliziosa pasta fresca, infatti, entra in scena con la stessa discrezione delle alture che li hanno visti nascere.

Nelle Langhe il viaggio comincia spesso prima dell’assaggio, tra filari che seguono l’andamento della terra e dei borghi che paiono respirare al ritmo lento delle vigne. In questo paesaggio compatto e silenzioso il plin appare naturale, quasi inevitabile, perché parla la stessa lingua del territorio: precisione, pazienza e misura.

Origini del piatto

La storia del plin racconta più di mani che di parole. Le prime tracce degli agnolotti compaiono nei ricettari dell’Ottocento, ma il formato più piccolo prende vita nelle cucine contadine, quando la domenica lasciava in eredità gli avanzi dell’arrosto. Le donne dell’epoca, infatti, preparavano ripieni con le rimanenze (della serie che, giustamente, non si buttava via niente) e stendevano una pasta sottile che veniva chiusa con un pizzicotto rapido e preciso.

Plin, pasta fresca nelle Langhe

Quel gesto (il plin in piemontese) serviva per sigillare il bordo della pasta, al punto che è proprio la pizzicata che distingue questo formato dagli agnolotti più grandi descritti nei manuali ottocenteschi.

Il ripieno, in origine, era un esercizio di economia domestica unita a qualche verdura cotta, per poi legare il tutto con un brodo ricco. Il piatto era da festa e non quotidiano, anche perché richiedeva tempo, manualità e ingredienti preziosi.

A partire dagli anni Settanta, la rinascita gastronomica piemontese porta diverse osterie e ristoranti a definire con rigore la versione moderna del plin: dimensioni più piccole, sfoglie più sottili e ripieni più equilibrati. Negli anni Ottanta e Novanta, la scuola langarola consolida questa identità, trasformando un piatto contadino in uno dei biglietti da visita della zona insieme al tartufo bianco.

Oggi il plin conserva la sua radice domestica, ma parla con un linguaggio contemporaneo: cotture precise, brodi puliti, ripieni tecnici e senza sbavature. È il punto d’incontro tra memoria e cucina d’autore.

Non a caso, con l’arrivo del turismo gastronomico il plin diventa uno dei piatti-rito del territorio. Un itinerario parallelo alle cantine di Barolo e Barbaresco, un assaggio che racconta storia e contemporaneità senza sembrare costruito per il visitatore.

Angolotti del Plin al brodo

Le Langhe, il paesaggio che li ha plasmati

Percorrere le Langhe, con la loro innegabile bellezza e sinuosità, permette di attraversare lo stesso eccezionale ambiente che ha dato forma al piatto: colline che si snodano con un’attraente armonia, piccoli borghi in pietra e cantine che spingono lo sguardo fino all’arco alpino. Tra Barolo, La Morra, Monforte e Serralunga il cibo è parte del paesaggio, una sorta di continuità naturale di una zona che vive ancora di agricoltura e artigianato gastronomico.

La alture, infatti, si aprono come anfiteatri verdi e rendono facile capire perché il plin sia nato qui. C’è un ordine naturale che torna ovunque, anche nei ritmi che non chiedono al visitatore di correre.

In inverno gli Agnolotti del Plin si servono spesso in brodo, quasi a proteggere il ripieno dal freddo che arriva dalle Alpi; d’estate possono arrivare “al tovagliolo”, nudi e diretti, appoggiati su una tela umida. È un gesto identitario che narra quanto la cucina locale preferisca la precisione alla ricchezza gratuita.

Langhe, patria del plin

Dove mangiare gli Agnolotti del Plin, 5 indirizzi che non tradiscono

Spostandosi da un territorio all’altro delle Langhe ci si accorge presto che non tutti i plin sono uguali: cambiano la mano, la pasta, il ripieno e persino l’idea di tradizione. In mezzo a tante interpretazioni, però, ci sono tavole che non deludono mai, luoghi in cui il gesto antico del “pizzicotto” sopravvive senza scenografie.

Antica Corona Reale – Cervere (CN)

Eleganza vera, due stelle Michelin e un plin che sembra disegnato a mano uno per uno. Da queste parti, infatti, gli agnolotti hanno una finezza che riflette decenni di lavoro sulla tradizione.

Osteria Veglio – La Morra (CN)

Qui c’è una cucina che abbraccia il territorio senza pesantezze. Anzi, il plin con fondo d’arrosto ha una profondità precisa, al punto da a emergere per equilibrio e pienezza di sapore.

Trattoria della Posta – Monforte d’Alba (CN)

Chi arriva qui sceglie un ambiente sobrio, ma contemporaneamente anche uno dei luoghi simbolo delle colline. Da queste parti gli Agnolotti del Plin vengono servita in tavola morbidi e precisi, con un ripieno che resta compatto e aromatico.

Il Centro – Priocca (CN)

Anche qua siamo di fronte a uno dei riferimenti assoluti della cucina piemontese, il top per gustare la versione al tovagliolo dove poter assaporare ogni dettaglio della tradizione.

Osteria del Boccondivino – Bra (CN)

Luogo storico legato alle idee di Slow Food. Per questo motivo, il plin rimane fedele alla forma contadina, con ripieno di arrosto e pasta sottile: uno di quei piatti da provare almeno una volta nella vita.

Agnolotti del Plin, Langhe e Piemonte

Foto Canva

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