In Valtellina la polenta non è un contorno, né un comfort food generico. È una grammatica del territorio. La polenta uncia (o polenta oncia, o polenta concia) in particolare è uno di quei piatti che raccontano meglio di qualunque guida la relazione profonda tra montagna, lavoro, clima e comunità. Burro, formaggio, farina: pochi ingredienti, ma nessuna scorciatoia. Ci piace perché è intensa, gozza, dà soddisfazione. E ti fa dimenticare diete e dimagrimento.
La polenta uncia nasce come piatto sostanzioso, pensato per chi lavorava nei campi, nei boschi e in alpeggio. Un piatto caldo, calorico, capace di sostenere giornate lunghe e inverni veri. Oggi è diventata uno dei simboli gastronomici più riconoscibili della valle, ma resta profondamente legata ai luoghi in cui viene preparata. Scopriamoli!
Che cos’è davvero la polenta uncia
La base è una polenta gialla di mais, cotta lentamente nel paiolo. A fine cottura viene “unta” – da qui il nome – con burro fuso e formaggi locali, in genere Casera DOP e, nelle versioni più ricche o stagionali, Bitto. Il risultato è una polenta morbida, avvolgente, lucida, dal profumo inconfondibile.
Ogni zona, ogni rifugio, ogni famiglia ha la sua proporzione, la sua intensità, il suo equilibrio tra dolcezza del burro e carattere del formaggio. Ed è proprio questa variabilità a renderla un piatto geografico.
Come si prepara la polenta uncia, passo dopo passo
La polenta uncia nasce da un gesto lento e ripetuto. La ricetta della Latteria Sociale della Valtellina parte dall’acqua salata, scaldata nel paiolo – meglio se di rame – insieme a una prima parte di burro, che già in questa fase comincia a dare rotondità al gusto.
Quando l’acqua arriva a ebollizione si versa a pioggia la farina mista di mais e grano saraceno, mescolando senza sosta per evitare grumi e dare struttura all’impasto. La cottura è lunga, non meno di tre quarti d’ora, e richiede pazienza: durante questo tempo il burro rimanente viene aggiunto poco alla volta, permettendo alla polenta di diventare lucida e morbida.

A fuoco spento si passa alla fase decisiva: la polenta viene disposta a strati in una terrina calda, alternata a tocchetti di formaggi valtellinesi – Val Lesina e Bitto – e a una spolverata di Parmigiano.
A chiudere tutto arriva la “sferzata”: burro fuso caldo, profumato con cipolla tagliata fine o aglio, versato direttamente sopra la polenta. Il risultato è un piatto ricco, avvolgente, da servire subito, quando il calore tiene insieme burro, formaggio e farina in un equilibrio che è insieme tecnica e tradizione.
Gli errori da evitare
Il primo errore è avere fretta. La polenta uncia non tollera scorciatoie: una cottura troppo breve lascia la farina cruda e il gusto piatto. Servono tempo e mescolatura costante, perché è durante i lunghi minuti sul fuoco che la polenta sviluppa struttura e carattere. Accelerare significa snaturarla.
Un secondo errore frequente è sbagliare il burro. Usarne poco o, peggio, sostituirlo con grassi diversi compromette l’equilibrio del piatto. Il burro non serve solo a “condire”, ma è parte integrante della texture e del sapore. Deve essere buono, lattiero, aggiunto gradualmente e mai tutto insieme.
Attenzione anche ai formaggi. Mescolarli direttamente nella polenta ancora sul fuoco è un errore: rischiano di separarsi o diventare filamentosi. La polenta uncia si costruisce a strati, a fuoco spento, lasciando che il calore residuo faccia il suo lavoro con delicatezza.
Altro errore comune è esagerare con l’aglio o la cipolla nella sferzata. Il loro ruolo è aromatico, non dominante. Se coprono il profumo del burro e dei formaggi, la polenta perde la sua identità.
Infine, servirla tiepida o riscaldata è quasi un sacrilegio. La polenta uncia va mangiata subito, quando è ancora viva, cremosa e profumata. Una volta fredda diventa un altro piatto, e non è quello che la tradizione valtellinese intendeva.
Dove mangiare la polenta uncia in Valtellina
La polenta uncia, come del resto la polenta taragna, come i pizzoccheri, dà il meglio di sé nei luoghi dove nasce, non nei ristoranti “a tema”. Baita, rifugio, agriturismo, trattoria di valle: contesti in cui il piatto è parte naturale del menu, non un’attrazione. Che dopo avere sciato nei comprensori valtellinesi, è pura gioia.
– Val Gerola: qui il Bitto è cultura prima ancora che prodotto. La polenta uncia è più intensa, profumata, spesso servita con formaggi d’alpeggio di diversa stagionatura
– Val di Morbegno: versioni più equilibrate, con Casera giovane, spesso accompagnata da salumi locali
– Alta Valtellina (Valdidentro, Valdisotto): polenta più rustica, ideale dopo una camminata o una ciaspolata
– Rifugi sopra Sondrio e Tirano: porzioni generose, atmosfera autentica, spesso cotta ancora nel paiolo sul fuoco
Non esiste “la migliore” in senso assoluto. Esiste quella mangiata nel momento giusto, dopo il freddo, la fatica, il silenzio. E se vuoi un tocco in più di gusto originale, puoi aggiungere la pesteda.
Ristoranti, trattorie, rifugi
Agriturismo Fracia – Morbegno
All’Agriturismo Fracia la polenta uncia è un piatto che arriva in tavola senza spiegazioni: parla da sola. La consistenza è quella giusta, cremosa ma sostenuta, con il burro che lega senza coprire e il formaggio locale che emerge con equilibrio. È il tipo di polenta che nasce da una cucina quotidiana, non pensata per stupire ma per nutrire, e proprio per questo autentica. Un posto ideale per capire cos’è davvero la polenta uncia quando è ancora parte della vita di valle.
Rifugio Motta – Val Gerola
In Val Gerola la polenta uncia diventa più intensa, più montana. Al Rifugio Motta arriva dopo il freddo e la fatica, ed è forse per questo che resta impressa. Il Bitto d’alpeggio, spesso più stagionato, dà carattere e profondità, mentre il burro caldo avvolge tutto senza compromessi. Mangiarla qui significa assaggiarla nel suo ambiente naturale, circondati da pascoli e silenzio, dove questo piatto ha davvero senso.
Osteria del Crot – Teglio
A Teglio, terra simbolo della cucina valtellinese, la polenta uncia dell’Osteria del Crot è un esercizio di equilibrio tra tradizione e convivialità. Viene proposta come piatto centrale della tavola, spesso accompagnata da funghi o carni in umido, ma senza perdere la sua identità. È una polenta che non cerca l’eccesso, fedele alla logica contadina da cui proviene, servita in un contesto che racconta la storia gastronomica del paese.
Ristorante La Rasiga – Sondrio
La Rasiga rappresenta la versione più “urbana” della polenta uncia, senza snaturarla. Qui il piatto è curato, ben presentato, ma resta ancorato agli ingredienti giusti: polenta ben cotta, burro di qualità, formaggi valtellinesi riconoscibili. È il posto adatto per chi vuole assaggiare la polenta uncia senza salire in quota, mantenendo però un forte legame con la tradizione locale.
Agriturismo Ca’ dal Scur – Castione Andevenno
Da Ca’ dal Scur la polenta uncia è ancora un piatto di casa, servito in un contesto rurale autentico, lontano dalle rotte più battute. Qui domina la semplicità: pochi ingredienti, porzioni generose, sapori netti. È il tipo di luogo dove la polenta uncia non è sempre in menu, ma quando c’è è fatta come si è sempre fatta, seguendo il ritmo delle stagioni e della cucina di famiglia.
Polenta uncia e inverno: un piatto stagionale per natura
La polenta uncia è un piatto invernale non per moda, ma per necessità. Il burro scalda, il formaggio nutre, la polenta avvolge. Mangiarla d’estate ha meno senso; d’inverno diventa quasi inevitabile.
È il piatto perfetto dopo una ciaspolata, una giornata sugli sci, una camminata nei boschi, una visita lenta a un borgo di montagna.
Sedersi a tavola davanti a una polenta uncia è spesso il momento in cui il viaggio rallenta davvero.
Un piatto che racconta identità
La polenta uncia non si presta a reinterpretazioni leggere o gourmet. Non è un piatto da “rivisitare”. È un piatto da capire, da rispettare. Ogni tentativo di alleggerirla o renderla elegante tradisce il suo senso profondo.
Come con gli sciatt, in Valtellina non si mangia solo polenta uncia: si mangia un modo di vivere la montagna, fatto di lentezza, stagionalità e memoria. Un piatto che non cerca di piacere a tutti, ma che quando piace, resta.
Foto Canva, latteriavaltellina
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