In Armenia sembra ci siano “poche cose”, finché non inizi a girarla davvero e a leggere quello che c’è dietro ogni pietra.
Non è solo ‘Il paese dei monasteri’, o ‘Il primo paese cristiano’: l’impronta spirituale è sì molto importante nel definire il dna di questo paese piccolo (è grande come la Sicilia) ma dall’identità molto precisa.
Dopo l’epoca sovietica, il paese la sta ritrovando e mostrando: una lingua diversa da quelle della zona caucasica, un alfabeto unico, una storia ricchissima, una natura variegata e per la maggior parte incontaminata, una popolazione gentile e curiosa. E poi il vino, l’archeologia, la fede.
Ho viaggiato da nord a sud e da ovest a est, in una geografia che cambia in fretta: L’Ararat e il Caucaso, altopiani secchi, vallate verdi verso l’Anatolia, gole rosse e canyon lavici. I monasteri sono la chiave d’accesso: luoghi sacri, indubbiamente iconici, tappe di un itinerario alla scoperta di un paese dal fascino raro. E autentico, non ancora trasformato dall’overtourism e dai resorti. Un po’ come il viaggio in Georgia che abbiamo raccontato (ed è una bella idea un itinerario che unisce i due paesi).
McDonald’s non c’è (ma c’è Kfc).
Girare per monasteri (la chiave del paesaggio e dell’identità)
Il Monastero di Geghard introduce subito all’essenziale armeno: roccia scura scavata, candele, canti che rimbalzano nelle camere ipogee, il fiume Azat che scorre sotto e i khachkar (le croci armene) di tufo come benedizione. Un’ora da Yerevan e sei già altrove, tra creste e calanchi color ocra.
A ovest di Yerevan, l’antico centro di Echmiadzin (oggi Vagharshapat) racconta la nascita del cristianesimo armeno: tra reliquie, liturgie e architetture successive, è la sede del Catholicos e un compendio della storia del paese.
Più a sud, Noravank abbaglia al tramonto: le pareti diventano rosso ferro, la chiesa si stacca come un bassorilievo dalla gola e puoi leggere la storia del luogo e della famiglia dominante (gli Orbelian). Ai poca distanza, le grotte di Areni custodiscono una scarpa in pelle di 5.500 anni fa e le tracce di una vinificazione antichissima: qui il vino non è moda, è origine.
Tatev arriva sospeso: la funivia scivola nel vuoto e appare un complesso monastico che un tempo ospitava centinaia di monaci (ora uno solo). Un luogo remoto che induce la meditazione, dove ammirare anche la colonna Gavazan che oscillava come un sismografo di pietra.
Più a nord si incrocia il lago Sevan, con gli edifici di Sevanavank e Hayravank battuti dal vento e da na luce lattiginosa che appiattisce l’acqua e accende i pini piantati sulle rive.
Se allarghi il raggio, ci sono perle da non perdere. Khor Virap, vicino al confine turco, è il luogo simbolo della conversione al cristianesimo: dalla collina la vista sull’Ararat (quando l’aria lo concede) è un’immagine-sommario dell’Armenia intera. Nel nord, le gemelle UNESCO Haghpat e Sanahin dominano vallate verdi con biblioteche medievali e archi severi; sono capolavori di pietra e silenzio, con incisioni che sembrano grafica contemporanea.
Attorno a Dilijan, Haghartsin si nasconde tra faggete e giochi d’acqua, mentre Goshavank conserva un khachkar finissimo, quasi un merletto. A est, Akhtala mostra affreschi sorprendenti in un guscio di pietra, e nella località montana di Tsaghkadzor, Kecharis offre un bel quadro di architettura sacra in quota.
Monasteri diversi e coerenti: ovunque la roccia non è sfondo, è materia viva della fede e dell’estetica armena.
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Scoprire la cultura del vino (dalle giare di Areni al nuovo corso)
La “Via del Vino” oggi è un inizio, più che un prodotto finito. Ad Areni si capisce che il racconto parte da lontano: suoli vulcanici, calore, rossi dal carattere deciso e piccole cantine familiari come Old Bridge, che cominciano a esportare in tutto il mondo.
Siamo nella ‘Toscana dell’Armenia’, la culla della viticoltura moderna che riprende la tradizione del passato cancellata dal soviet (in favore della più economica e ‘efficace’ vodka).
Tutta l’Armenia è un laboratorio enologico, dappertutto vedi fregi e bassorilievi che riportano l’uva, tutto il paese è spinto verso la ripresa di un’industria che, si spera, a breve possa insidiare i modaioli vini georgiani.
Si vede bene a Yerevan, dove via Saryan è la strada delle enoteche e in pochi anni è diventata la via più vivace e promettente del paese: i figli della diaspora rientrano, investono, sperimentano, e la qualità fa un salto rispetto ai tempi in cui l’URSS spingeva sui superalcolici (anche se rimane il buon brandy armeno).
Storia e identità (alfabeto, memorie, pietre)
Tra caravanserragli (quello del passo Vardenyats, 1332, è un gioiello di basalto a 2.400 m) e strade nuove che tagliano altopiani color miele, l’Armenia riafferma una voce che la storia non è riuscita a spegnere. Un tour in Armenia che si rispetti non può essere solo un giro dei monasteri.
Al di là dei monasteri e della stori cristiana apostolica, c’è un alfabeto unico, che nasce nel 405 e vede trentasei lettere per fissare una lingua e un’identità rimaste vive durante secoli complicati. A Erebuni, la Yerevan del 782 a.C. (“più antica di Roma”, ti dicono tutti), le iscrizioni cuneiformi riportano a Urartu e agli inizi di tutto.
Percepisci una lunga storia di invasioni e resistenze, fino all’indipendenza del 1991 e alla durissima guerra recente con l’Azerbaijian.
Il santuario vero degli Armeni oggi è il Memoriale di Tsitsernakaberd, dedicato al genocidio del 1915-1922: è un passaggio che non si aggira: ogni 24 aprile la fiamma diventa appuntamento della memoria collettiva.
Yerevan, città vivace e cosmopolita
Il suo soprannome è La Città rosa, per gli edifici costruiti in tufo locale dai toni grigio-rosa.
Quando la esplori, Yerevan si rivela una bella sorpresa: mescola rigore sovietico e motivi locali: archi, tralci d’uva scolpiti, animali. In Piazza della Repubblica le facciate in tufo disegnano una gigantesca quinta teatrale dentro cui si ritrovano i cittadini a passeggiare e chiacchierare.
Dall’alto vigila Mother Armenia, il monumento che ha preso il posto di quello dedicato a Stalin e domina l’orizzonte.
Passa obbligatoriamente dal quartiere Kond, l’antica Yerevan rimasta così com’era, pericolante e struggente: tutta in salita: balconcini in legno, passaggi stretti, piante sui davanzali; sembra un set e invece è vita vera.
La sera si gira tra caffè tostati, enoteche e ristoranti che aggiornano la cucina di casa: pomodori secchi, melanzane ripiene, carne alla griglia, il sottile pane lavash caldo, noci sciroppate, pesce del lago Sevan.
Info utili
Voli: dall’Italia ci sono voli Wizzair per Yerevan, in partenza da diverse città.
Trasporti interni: guidare in Armenia è fattibile, le strade sono nuove e comode, ma i cartelli in alfabeto armeno, qualche tratto lento, mappe poco precise rendono più sicuro e facile noleggiare un auto con autista esperto.
Clima: è continentale, con estati calde e secche e inverni freddi. Sono passato dagli 8 gradi di Dilijian ai 22 di Yerevan in pochi chilometri. Insomma, vai attrezzato e vestiti a strati. in quota serve uno strato caldo anche in agosto.
Il contesto geopolitico negli ultimi anni è stato sensibile, ora meno: da evtare i confini con l’Azrbaijan, ancora contesi.
Terme: Jermuk è il luogo giusto per un giorno di pausa tra acque calde fino a 53° e vecchi sanatori oggi diventati spa.
Sicurezza: l’Armenia è un paese generalmente sicuro per i turisti, la popolazione è accogliente e disponibile con gli stranieri. A Yerevan e nei principali siti turistici, si può girare tranquillamente anche da soli. Evitare le aree di confine con l’Azerbaigian, soprattutto la regione del Nagorno-Karabakh, a causa di possibili tensioni.
Prima di partire, è consigliabile consultare sempre il sito Viaggiare Sicuri del Ministero degli Esteri per aggiornamenti ufficiali.
Parole chiave: “Bari luys” per buongiorno, “Barev” per ciao, “Shnorhakalutyun” per grazie: tre parole per cambiare la relazione.
Perché andare adesso in Armenia
Perché l’Armenia sta riallacciando fili interrotti e riproponendo la sua identità. Si va per i monasteri, il vino, un po’ di archeologia, tanta natura. Ma non è un parco a tema: è un paese che prova a crescere in pace, tra altopiani che sembrano di velluto e croci di tufo che salutano “Dio sia con voi”.
Foto Martino De Mori
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8 September 2025