Michele Losi è regista, camminatore, fondatore e direttore artistico di Campsirago Residenza, tra le realtà più innovative del teatro di paesaggio in Europa.
Da oltre quindici anni porta avanti un lavoro costante sul cammino come gesto artistico, politico e relazionale, sviluppando format che uniscono lentezza, ascolto e narrazione. Da questa lunga esperienza nasce Errando per antiche vie, il cammino teatrale e culturale che da Cortina d’Ampezzo arriverà fino a Milano attraversando l’intero arco delle terre olimpiche.
Errando non è solo un itinerario di oltre 250 chilometri, ma un’azione collettiva che mette in relazione comunità, territori in trasformazione, luoghi fragili e paesaggi ad altissimo valore culturale e ambientale. Il progetto vuole accendere uno sguardo nuovo sulla montagna contemporanea, tra spopolamento e overtourism, antiche vie e nuove forme di abitare, raccogliendo storie, incontrando persone e costruendo una narrazione condivisa lungo la strada.
In questa intervista, Losi racconta perché oggi c’è bisogno di un cammino narrativo così radicale, come il teatro può restituire attenzione ai territori e quali sono le domande più urgenti che riguardano le Alpi, gli Appennini e le comunità che li abitano.
Come nasce l’idea di Errando e cosa ti ha convinto che oggi fosse il momento giusto per creare un cammino narrativo e artistico da Cortina a Milano?
L’idea di Errando per antiche vie nasce da 15 anni di pratiche di cammino in ambito teatrale e dalle pratiche alpinistiche di quando avevo 20 anni, ma anche dalle pratiche di cammino di quando ne avevo 12; nasce fondamentalmente dall’idea che camminando si attraversano e si scoprono i territori; il camminare è per me un atto di purificazione personale, ma è anche un atto che trasforma i luoghi che tu attraversi. Errando per antiche vie nasce anche dall’idea che serva un grande atto che metta in relazione dei luoghi attraversandoli e che questi luoghi non siano solo semplicemente le due capitali delle Olimpiadi, ma tutti i territori che stanno in mezzo.
Errando attraversa territori che saranno al centro delle Olimpiadi 2026: quali pensi siano oggi i temi più urgenti della montagna, dal punto di vista sociale, culturale e ambientale?
Uno dei temi più urgenti della montagna è come fare a continuare ad abitarla: c’è un grande fenomeno di ritorno, ma allo stesso tempo ci sono anche enormi fenomeni di esodo; il rischio è quello dell’overtourism come si vede in maniera evidente, per esempio, negli ultimi cinque anni nelle Dolomiti. La montagna è un luogo molto potente, ma anche molto fragile e delicato al tempo stesso: un altro dei temi urgenti è quindi quello di trovare un compromesso tra la difficoltà e la povertà di un tempo e la capacità di abitare oggi la montagna in maniera tutelante per la Wilderness o quello che ne rimane, per la natura e nello stesso tempo per gli umani e per le persone che ci vivono quotidianamente. Questi sono temi enormi da un punto di vista sociale. Nello stesso tempo è anche un grande tema quello dell’isolamento perché, comunque, chi vive in montagna o è isolato o tendenzialmente invece è invaso dal turismo: qui stiamo parlando degli umani, poi se ci mettiamo a parlare degli animali, delle piante e delle montagne in sé − quindi dei luoghi delle pietre, delle altitudini, dei fiumi −si apre un altro immenso capitolo. Da un punto di vista ambientale sono evidenti rischi che questi luoghi corrono nel momento in cui vengono sfruttati dal punto di vista economico e turistico.
Il cammino mette in dialogo natura, comunità e linguaggi artistici. In che modo il teatro, in particolare, può diventare uno strumento per far rileggere i territori e per generare consapevolezza?
Il teatro in questo caso particolare è il teatro in cammino che ha la capacità di aprire lo sguardo dello spettatore su punti di vista nuovi e differenti; questo tipo di teatro ha anche la capacità di far riscoprire cose che in realtà non sono sotto gli occhi di tutti, ma che non vengono notate: quando uno ripete un percorso o rivede gli stessi luoghi quotidianamente, poi non li vede davvero più. Il teatro in questo senso ha quindi la capacità di farti aprire gli occhi. Ricordo sempre che il termine teatro deriva dal greco e theatron, cioè “il luogo dello sguardo”.
Molte aree alpine stanno affrontando spopolamento, perdita di servizi e crisi della montagna tradizionale: Errando cosa prova a restituire su questi fronti?
In relazione alle aree alpine che stanno affrontando lo spopolamento, la perdita di servizi e, in generale, la crisi delle strutture di base che permettono di continuare a vivere e sopravvivere in montagna, Errando per antiche vie prova a restituire un processo di solidarietà tra umani che si incontrano e che attraversando dei territori incontrano chi li vive. Inoltre, con questo progetto proveremo a raccogliere racconti e narrazioni di chi vive quelle aree alpine. D’altronde è un cammino che non è stato fatto molto frequentemente da Cortina, al Trentino, a Bormio, alla Valtellina fino alla città di Milano. Attraverseremo luoghi, raccoglieremo storie, faremo incontri e probabilmente anche questa cosa si trasformerà in una forma di narrazione e di racconto della montagna, sperando che possa essere utile.
Errando è un cammino lento che attraversa aree ad altissimo valore paesaggistico ma anche zone segnate da trasformazioni profonde. Quali luoghi senti che stanno raccontando meglio il cambiamento dell’Appennino e delle Alpi?
Questo te lo saprò dire alla fine di questo viaggio. I territori quelli che conosco davvero bene sono quelli intorno alla tappa numero 10, quella che arriva a Campsirago. Posso dirti che questi sono luoghi che sono stati abbandonati e si sono spopolati negli anni 60 e 70 e che adesso sono riabitati: a volte con consapevolezza mentre altre volte con molta minor consapevolezza.
Quindi questa è una domanda a cui ti saprò rispondere dopo questo cammino. Ci sono sicuramente tante esperienze, sia nelle Alpi che negli Appennini, che sono in grado di raccontare questo cambiamento: l’Abruzzo è uno di questi territori, ma sicuramente anche il Trentino-Alto Adige, così come immagino anche la Valtellina. Per risponderti a questa domanda però, senza presunzione, ho davvero bisogno di fare questo cammino.
Il progetto sembra voler indicare un nuovo modello di fruizione culturale, fuori dai teatri e dentro i paesaggi. Secondo te perché oggi c’è così tanto bisogno di portare l’arte sul territorio, fuori dagli spazi canonici?
Il progetto è fuori dai modelli standard di fruizione culturale. Gli spazi canonici − lo spazio teatrale − per come è conosciuto oggi in città è uno spazio borghese che è stato costruito nel ‘800. Prima il teatro era nelle piazze e anticamente era in natura per cui non facciamo qualcosa di veramente nuovo, ma ritorniamo alla radice. L’uomo ha bisogno di natura, ha bisogno di camminare, ha bisogno della bellezza dei paesaggi, dei tramonti e di guardarsi intorno: fare arte − che sia musica, danza, teatro, performing art in cammino, teatro nel paesaggio − è una formula molto potente che coinvolge sempre il pubblico. Posso dire che è molto più facile trovare un pubblico annoiato in sala che un pubblico in cammino annoiato da quello che sta vivendo, facendo, vedendo e sentendo.
Guardando al futuro: cosa speri che rimanga nelle comunità che incontrate lungo la via? E cosa vorresti che un camminatore portasse a casa dopo aver vissuto un tratto di Errando?
Guardando il futuro, spero che rimangano degli incontri, delle connessioni, delle narrazioni diverse. Spero che ci sarà la possibilità di essere ascoltati e che quindi non esista solo il mainstream come pensiero e racconto dominante. Spero anche che nasca una comunità da questi camminatori: artisti, artiste, antropologi e tutte le persone che si uniranno al cammino. Non sappiamo ancora quanti saremo: partiamo in 10, alla fine saremo in 100 o più? Penso che un’esperienza di questo tipo sarà molto potente e che ce la ricorderemo per tutta la vita. Spero anche che ne nasca uno spettacolo nuovo che si comporrà cammin facendo e spero che nascano delle relazioni forti e importanti.
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