E così, quasi di colpo, il Ruanda è arrivato al centro dell’attenzione degli appassionati di sport. Soprattutto perché si sono accesi i riflettori del mondo del ciclismo, il cui Campionato del mondo su strada si svolge in questo Paese dell’Africa orientale e per la prima volta assoluta in Africa. Un evento storico, che è motivo di festa per (tutto) il continente, ma che sta anche generando nubi di polemiche, sia per le difficoltà logistiche e organizzative dei team nazionali di ciclismo che per le contraddizioni di uno sport sempre più intrecciato con la geo-politica.
Sportswashing, geopolitica e speranza
La controversia principale ruota attorno alla scelta del Ruanda come nazione ospitante, un paese criticato da gruppi per i diritti umani per il suo regime autoritario. Amnesty International, in particolare, ha segnalato “sparizioni forzate, detenzioni arbitrarie, uso eccessivo della forza, processi iniqui e restrizioni alla libertà di espressione”. Un dibattito che si intreccia anche con le recenti proteste pro-palestina durante la Vuelta a España e con la più ampia discussione sullo “sportswashing”. Nonostante ciò, il presidente dell’UCI, David Lappartient, ha difeso la scelta, definendola un “messaggio di speranza” a oltre 30 anni dal genocidio del 1994.
Il Ruanda è un paese che ha compiuto un percorso per certi aspetti straordinario. Dopo l’indipendenza e un periodo di violenze culminato nel genocidio che sterminò oltre 800.000 persone nel 1994, la nazione ha intrapreso una complessa strada di ricostruzione. Sebbene la storia recente sia segnata da tensioni e critiche, il Ruanda si è trasformato in un modello di stabilità e progresso, con infrastrutture moderne e un notevole sviluppo. Questa stabilità ha reso il paese un luogo attraente e, secondo diversi osservatori, uno dei più sicuri dell’intero continente.
La passione per il ciclismo in Africa
Una delle forze trainanti dietro questo cambiamento è la grande passione dei ruandesi per lo sport, e in particolare per il ciclismo. Le gare come il Tour du Rwanda sono eventi di massa che attirano folle immense, con i tifosi che si riversano a bordo strada per sostenere i corridori, dimostrando un entusiasmo raro. Ed è da competizioni come queste che è uscito anche l’eritreo Biniam Girmay, che ha fatto in qualche modo storia diventando il primo corridore africano a indossare la maglia verde al Tour de France. Ed è anche questo fervore popolare ha spinto il governo a investire in modo massiccio nel settore.
Il Ruanda sta diventando la nuova Mecca dei ciclisti?
Il governo ruandese ha lanciato numerosi programmi di cicloturismo per attirare visitatori e capitalizzare la sua straordinaria topografia. La nazione ha inaugurato ben 11 percorsi per mountain bike che si estendono per 760 chilometri, affiancando il già famoso Congo-Nile Trail. Questi sentieri, adatti a ciclisti di ogni livello, attraversano paesaggi mozzafiato e offrono un’esperienza unica. A supporto di questa iniziativa, l’Ente per lo Sviluppo del Ruanda ha curato la manutenzione delle piste, formato guide specializzate e meccanici, e ha offerto campeggi sicuri e altre opzioni di alloggio. Per incentivare ulteriormente il settore, il governo ha introdotto una detrazione fiscale del 25% sull’importazione di biciclette da corsa e da montagna.
Con il suo mix unico di paesaggi impegnativi, una passione popolare sconfinata e massicci investimenti governativi, il Ruanda si sta indubbiamente posizionando sulla mappa mondiale per diventare una delle destinazioni di punta per i ciclisti. Se riuscirà a superare le controversie e a conciliare la crescita sportiva con le sfide dei diritti umani, la domanda iniziale potrebbe presto trovare una risposta inequivocabile: il Ruanda è sulla buona strada per diventare la nuova Mecca dei ciclisti.
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