Pechino 2022, le olimpiadi della neve finta

Quelle di Pechino 2022 sono le prime Olimpiadi in un posto dove non nevica da anni: lo sport tiene davvero conto della sostenibilità sbandierata o è solo greenwashing?

Quelle di Pechino 2022 passeranno alla storia per essere le prime olimpiadi della neve finta. O meglio artificiale e programmata, come amano dire quelli a cui tocca edulcorare la cruda realtà: a Zhangjiakou e Yanqing, le sedi dove si tengono le competizioni su neve (quelle su ghiaccio sono in scena nella capitale) non nevica più da tempo: le medie degli ultimi anni sono di 20 e 5 cm, decisamente insufficienti per sciare nel weekend, figurati per le Olimpiadi della neve. Tanto che già dal 2017 il governo cinese ipotizzava di utilizzare il sistema del cloud seeding. Tecnologia già vecchia quella di bombardare le nuvole con particelle di ioduro d’argento che se potrebbe (condizionale d’obbligo) funzionare per la pioggia come sperimentato a Dubai, ben più problemi ha quando si tratta di far nevicare. Perché il problema non è solo l’assenza di precipitazioni ma anche le alte temperature, come stiamo sperimentando anche in questo nostro inverno italiano di poca, pochissima neve.

Pechino 2022, le olimpiadi della neve finta

E così da giorni, o meglio da settimane, un esercito di cannoni è in funzione per sparare neve sulle piste delle montagne del Guyangshu, e questo sì che segna una nuova era nella storia degli sport invernali (come dice Thomas Bach, presidente CIO, glorificando Pechino come prima città a ospitare entrambe le edizioni a Cinque Cerchi).
Il nuovo capitolo nella storia dello sport invernale è dunque quello che prevede 100 generatori, 300 cannoni sparaneve e l’utilizzo di 223 milioni di litri d’acqua. 223 milioni di litri d’acqua, è bene ripeterlo. Il Comitato Organizzatore locale si è premurato a specificare, sul sito ufficiale, che non c’è prelievo dalle falde acquifere sotterranee ma che tutta l’acqua che verrà utilizzata deriva dal bacino idrico artificiale in cui è stata raccolta l’acqua proveniente da piogge e sorgenti estive.

Rimane che sono 223 milioni di litri d’acqua che non hanno seguito il loro naturale ciclo, che comunque sono tolti ad altri utilizzi a valle, e che trasformarli in neve significa un enorme dispendio energetico.

La responsabilità dello sport nel cambiamento climatico

Gli atleti sono (giustamente e generalmente) eccitati dalle prime prove sulla neve, ma secondo uno studio appena pubblicato su Current Issues in Tourism (Climate change and the future of the Olympic Winter Games: athlete and coach perspectives) queste non sono condizioni in grado di garantire la sicurezza fisica degli atleti impegnati nelle competizioni.

Lo statement dello studio non lascia spazio a dubbi:

The International Olympic Committee recognizes the risks climate change pose to the Games and its responsibility to lead on climate action. Winter is changing at the past Olympic Winter Games (OWG) locations and an important perspective to understand climate change risk is that of the athletes who put themselves at risk during these mega-sport events.

E c’è un altro aspetto: secondo lo stesso studio, senza una inversione delle politiche climatiche (cioè senza l’adozione totale dell’accordo di Parigi) di tutte le precedenti sedi di olimpiadi invernali tra pochi anni si potrà sciare solo a Sapporo e forse Lillenhammer in Norvegia e Lake Placid negli USA. Non più St. Moritz, Albertville, Chamonix, Insbruck, per rimanere in Europa, tantomeno Calgary, Salt Lake City, Vancouver o Nagano. E figuriamoci Torino o Cortina d’Ampezzo, dove sono previste le prossime olimpiadi invernali, quelle del 2026.

Quale sostenibilità per lo sport contemporaneo?

C’è un altro aspetto del cambiamento climatico, sempre sottolineato nella ricerca, che riguarda specificamente lo sport:

Every aspect of society will be impacted by global climate change and sport is no exception. There is limited, but increasing, evidence on the interconnections between sport and climate change.

pechino 2022

La sostenibilità è ormai da tempo uno dei valori olimpici, che non si limitano più ai soli fair play, pace, uguaglianza e solidarietà. Tanto che riconoscendo sia l’impatto climatico sullo sport quanto la responsabilità dei movimenti sportivi sul clima, le Nazioni Unite in collaborazione con oltre 300 organizzazioni sportive (tra cui CIO, FIFA, Formula 1) nel 2018 ha lanciato lo Sports for Climate Action Framework (UNFCCC).

Viene da chiedersi però dove finisca la sostenibilità e inizi il cosiddetto greenwashing nello sradicare oltre 20mila alberi per costruire il sito olimpico di Yanqing nel cuore della riserva naturale del Songshan, promettendo di piantarne altrettanti altrove, o parimenti nel mettere l’aria condizionata negli stadi di Qatar 2022 in un Paese in cui normalmente in estate ci sono 50°C e che già impiega il 60% della propria energia per raffreddare il Paese.

Usare l’energia solare “piantando” ettari ed ettari di pannelli, sradicare alberi e ripiantarli altrove per costruire piste e villaggi olimpici, condizionare stadi nel deserto e creare neve artificiale dove non nevica sono davvero le azioni sostenibili di cui abbiamo bisogno per raggiungere gli obiettivi contro il cambiamento climatico prima che sia troppo tardi o, per dirla con Greta, sono solo “bla bla bla”?

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