Simone Moro: “Il Nanga Parbat? Preferisco andare a funghi dietro casa!”

Simone Moro North Face

Incontriamo Simone Moro all’inaugurazione del nuovo store TheNorthFace in centro a Milano (Corso Vittorio Emanuele / Galleria San Carlo). Una folla di fan in adorazione si palesa in un attimo, tutti con un suo libro o – più spesso – un caschetto da arrampicata da far autografare.

Anche una bella signora sulla cinquantina che mal dissimula l’emozione e, quando arriva il suo turno, cinguetta: “Può scrivere per cortesia: a Laura, con affetto”?
“Laura?”, accenna Simone guardandola negli occhi. “Tu sei mia amica di Facebook, vero? Mi ricordo di te. Laura…” e indovina anche il cognome.
Laura si scioglie e il cronista non può che intervenire: “Scusi signora… ma lei gli scrive tutti i giorni?”
“Beh, quasi…”
“Scusa Simone, ma tu quanti amici hai su Facebook?”
“Credo 34mila, ma mica li ricordo tutti”…

Questo è Simone Moro e questo è il principio di una chiacchierata (in realtà è la seconda!) fuori dai soliti schermi: sapevamo da dove stavamo cominciando ma non dove saremmo finiti. Un po’ come in montagna. In fila, c’è anche gente in giacca e cravatta, appena uscita dall’ufficio.

Hai mai rischiato di finire a lavorare in giacca e cravatta? Ai nostri tempi il mondo si divideva tra quelli che vivevano dietro a una scrivania e gli altri…
“Guarda, ricordo che a 6 anni dicevo di voler fare l’alpinista, a 10 di voler fare l’alpinista, a 15 di voler fare l’alpinista e anche a 20. E poi ce l’ho fatta. Io ho fatto le scuole superiori serali: al mattino lavoravo in un’agenzia di pratiche automobilistiche e facevo più o meno il fattorino. Correvo avanti e indietro per gli uffici della Motorizzazione Civile a Bergamo con un motorino scassato o in bici. Poi ho lavorato in un negozio di articoli sportivi come commesso, ma, per fortuna, lavori indoor dietro la scrivania non ne ho mai fatti. E poi al pomeriggio scalavo come un caimano e alla sera studiavo.”

Dove andavi ad arrampicare a Bergamo, tua città natale?
“Andavo alla cava di Nembro. Sono 9 chilometri di salita. Ci andavo in bici o in moto insieme a Emilio Previtali (alpinista e leggenda dello sci freeride, ndr). Abbiamo fatto insieme le scuole medie e il periodo delle fughe in bicicletta.”

Vai ancora in bici per allenarti?
“Per un lungo periodo ho scelto di fare un anno in bici e un anno di corsa a piedi, un anno in bici e un anno di corsa. Bici da strada, ovviamente. Ho fatto anche qualche granfondo. Sceglievo la bici per salvare le ginocchia e in più, se fai dei lavori di preparazione endurance, li fai meglio sui pedali. Due ore di bici fatta bene rendono più di due ore di corsa.”

Perché la bici da strada e non la MTB?
“Era anche una questione di tradizione famigliare. Mio padre è stato campione italiano amatori su strada e in famiglia avevamo la bici nel sangue. Ho cominciato con lui da bambino e mi è rimasta la passione.”

E poi da grande quando hai cercato un lavoro ti sei messo a fare l’elicotterista che non è esattamente come stare dietro a una scrivania…
“No, decisamente. E ho deciso di farlo non in Italia, magari portando i turisti a Porto Cervo, ma in Nepal per fare elisoccorso agli alpinisti. Al momento lavoro, ma non mi faccio nemmeno pagare.”

E con l’aria rarefatta che c’è a quelle altitudini è dura: primo europeo a volare sull’Himalaya, record per il più alto recupero in parete mai effettuato a circa 7000 metri di quota. Se dobbiamo fare le cose, facciamole bene…
“Ho licenza americana, europea, nepalese e sto prendendo la canadese. Adesso comincerò a lavorare anche qui, anche per sviluppare alcuni progetti che ho in mente per cui serve l’elicottero. Per volare bene è molto importante allenarsi e fare pratica andando in elicottero il più possibile. Io ci sono andato un paio d’ore anche stamattina con mio figlio. Era una giornata limpidissima. Siamo andati sulle Orobie (le montagne tra la bergamasca e la Valtellina, ndr) con quattro sport camera montate sull’elicottero e abbiamo ripercorso tutta la traversata delle Orobie che ho fatto anni fa. Bisogna raccontare anche l’esplorazione che hai fuori casa perché non bisogna per forza andare sull’Everest né sulle Dolomiti per provare il piacere della montagna e dell’outdoor.”

Conosci qualche segreto ben mantenuto sulle Orobie? Qualche angolo di paradiso ancora segreto?
“Su tutte le montagne incontri la gente solo dal parcheggio al rifugio. Dal rifugio in poi non incontri un cavolo di nessuno. Io suggerisco di andare oltre i 2000 metri, che più o meno è la quota massima dei rifugi da queste parti. Tutte le creste sono fantastiche: la traversata che ho fatto con Mario Curnis, dall’inizio delle Orobie al Passo del Vivione fino al Monte Legnone nel Lecchese – 200 km non stop in 12 giorni – è stata una bellissima esplorazione. Alcune creste sono alpinistiche, ma altre sono facilmente percorribili. Noi abbiamo voluto farle tutte in cresta, ma, se solo segui i sentieri appena sotto, non si incontra alcuna difficoltà.”

Quali sport outdoor pratichi per allenarti?
“Vado tanto in bici. Corro tanto, anche tantissimo: faccio dai 100 ai 140 km alla settimana, dai 15 ai 20 al giorno, 70% sterrato e 30% asfalto. Corro appena fuori casa al Parco dei Colli, al Bosco della Maresana, vado verso Selvino e in Val Brembana. E poi arrampico, faccio tanti salti con il paracadute (non so se voi lo considerate outdoor ma io lo faccio!). Ho fatto kayak imparando sul Brembo, la scuola locale che ha sede a Zogno gestita dal mio amico Alessandro sta funzionando benissimo. Il Brembo è un fiume eccezionale: c’è anche un laghetto dove ci si allena a fare l’eskimo, a guidare il kayak, a fare gli appoggi. Ho provato la speleologia, il parapendio, il rafting in Nepal… E poi ovviamente vado a funghi qui fuori casa. Beh, la mia attività sportiva preferita!”

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