Girare a Parigi in estate fregandosene dell’overtourism

Il canale Saint Martin

Ancora con questa storia dell’overtourism. Ricorderemo l’estate del 2025 per il bombardamento mediatico sul turismo che prende d’assalto il mondo. Bè sono andato a Parigi nella prima settimana di agosto e sono sopravvissuto.
Per fortuna avevo già visitato Parigi diverse volte negli anni e non mi interessava rivedere il Louvre, salire sulla Tour Eiffel e tutte quelle cose lì. Ma ho girato e osservato: vedere il turismo(over) in un città come questa è uno spettacolo quasi quanto camminare nei quartieri meno famosi e frequentati. Provo a raccontare entrambe le cose e a dare qualche dritta per scoprire qualcosa di diverso e mooolto interessante a Parigi.
Un po’ di immagini dei luoghi da vedere sono nella gallery.

Cosa fare a Parigi fregandosene dell’overtourism

A Parigi c’è gente, tanta, ma lo sai. Lo scorso anno l’area urbana di Paris – Ile de France ha assorbito circa 37 milioni di turisti. C’è troppa roba per non attirare persone da tutto il mondo, e un’offerta di alloggi, trasporti e ristorazione in grado di reggere l’urto.
Oltre un’ora di coda per salire sulla Tour Eiffel, serpentoni di turisti in attesa dell’ingresso al Louvre (peggio ancora per vedere la Gioconda, davanti alla quale la maggioranza scatta foto senza guardare la Mona Lisa), idem a Notre Dame. Ma anche a comprare le crepes in un negozietto anonimo vicino ai giardini Luxembourg (sarà colpa di qualche influencer?), da Pierre Herme per assaggiare i macarons, nei ristoranti della catena Bouillon, nuova attrazione della cucina popolare francese.
Quando vedi una fila di turisti che aspettano in piedi al sole sul pont d’Léna per farsi una foto che tenga insieme i cerchi olimpici e la Tour Eiffel, pensi che tanta di questa gente non verrebbe a Parigi se non ci fossero le code. Sono in qualche modo rassicuranti, ti confermano che sei nel posto giusto, diventano quasi un’esperienza, un rito collettivo, un dovere che non pesa più di tanto.
Se invece sei al secondo giro, puoi seguire altri sentieri in città.

 

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Zona nord: Belleville, Ménilmontant e il diciottesimo

Grazie soprattutto ai libri di Daniel Pennac, Belleville è da tempo nelle mappe di chi si ferma oltre i 4 giorni a Parigi, il che riduce comunque l’affollamento. Appena esci dalla metropolitana a Couronnes o di Pere Lachaise senti odore di pane arabo, coriandolo e vernice spray.
Da lì puoi salire verso Ménilmontant, la b-side di Belleville: scalinate scorticate, bistrot con tavolini traballanti, murales che insegnano la geopolitica meglio di un talk-show. Nella piazza de Saintes-Simoniens in cima a rue Ménilmontant vedi un pezzo d’Africa, poi scendi al belvedere del Parc de Belleville e hai la migliore vista panoramica della città, solitamente avvolto dal fumo dell’erba dei locals che si ritrovano qui la sera. Probabilmente vale il viaggio. Ah, la vista sulla città è gratis, la birra dei chioschi costa meno di una caffè nel Marais e di solito l’unica fila è quella alla panetteria la domenica mattina.

Ancora meno battuto e autentico, come una Belleville che non ce l’ha fatta, è il quartiere che ruota attorno alle stazioni metro di Mercadet-Poissonniere e Somplon, nel Diciottesimo arrondissement. È a due passi dalla indubbiamente meravigliosa Montmartre ma nessuno ci arriva. Io l’ho scelto per dormirci qualche notte: è supertranquillo, pieno di ristoranti dove trovi posto facile (argentini, guineani, vietnamiti, pasticcerie).

 

Dal Marais patinato al quartiere asiatico, al boulevard dei murales

Ok, concediti una scatola di macarons al caramello salato, fai la coda da L’As du Fallafel di rue des Rosiers; ci sta, sei umano. Poi però salta sulla linea 7 e scendi a Tolbiac o a Maison Blanche. Lì c’è Chinatown, che in realtà è più un quartiere pan-asiatico, che arriva fino a Place d’Italie e raccoglie un po’ tutti i paesi di quell’area; è meno folkloristico di quello che pensi, con panorami da vera metropoli asiatica: palazzoni bianchi, centri commerciali stile pagoda, giardinetti dove si gioca a ping pong, gente spettinata, karaoke aperti all’alba, gastronomie viet-laotian-cines-coreane.
I boodles di Crazy Noodles in avenue d’Italie sono buonissimi!

Una bella idea è proseguire a piedi verso Boulevard Vincent-Auriol, al centro di un progetto di redesign urbano, una via in cui i murales hanno ridato dignità a palazzi altrimenti anonimi. Puoi giocare a riconoscere le firme: Shepard Fairey, Inti, Kobra. Ogni facciata racconta un manifesto, mentre il traffico fa da colonna sonora. È un museo a cielo aperto senza biglietteria, dove l’unica tassa è l’attenzione che ci metti.

Ultime scale mobili al Pompidou, tempesta creativa al Centquatre

Il Centre Pompidou va visto, anche quando dentro non c’è nulla da fare, anche perché nel 2025 chiude per un restauro di 5 anni.
Vale la pena anche una sosta alla fantasiosa fontana ideata da Niki de SaintPhalle in piazza Stravinsky chiude per restauro quinquennale alla fine del 2025.
Poi prendi la linea 7 fino a Riquet e il Centquatre, una specie di vecchio-nuovo Beaubourg, se vogliamo, nel mezzo di in un quartiere molto popolare. È un ex obitorio municipale ristrutturato grazie a una serie di fondazioni e trasformato in un centro catalizzatore per artisti, compagnie di ballo, gruppi teatrali, start-up dello spettacolo e mercatini bio. Uno spazio immenso e magnifico, aperto anche a chi vuole fare esercizi fisici, con un bel programma di eventi
Qui le code non esistono: tutto pulsa, cambia, si sposta. Un anticorpo perfetto alla folla del centro.

Aperitivo sul Canal Saint-Martin, verde sospeso sulla Coulée Verte

Sul Canal Saint-Martin la birra artigianale arriva in bicchieri di plastica riutilizzabile, i ponti levatoi si aprono per far passare le chiatte, la luce dell’aperitivo è magica. Da anni è il luogo degli studenti parigini e di qualche turista e un giro serale è sempre consigliato.
Quando tutto diventa un po’ troppo hipster puoi fuggire verso la Gare de Lyon e imboccare la Coulée Verte René-Dumont: è una ex ferrovia sopraelevata che è diventata un parco lineare di rose rampicanti, pergolati d’uva, scorci sui cortili di Faubourg Saint-Antoine. Quattro chilometri e mezzo sospesi a 20 metri da terra, senza semafori, senza code, senza notifiche push (prende poco il telefono, e va benissimo).

Louvre, certo, ma anche Jardin des Plantes, Guimet e Carnavalet

Il Louvre resta la rockstar. Se vuoi il palco frontale, prenota prima e presentati alle 9 in punto e sprinta verso la Gioconda. Poi levati di torno e scendi verso il Jardin des Plantes, un parco enorme lungo al Senna che offre serre art déco, uno zoo storico e tre musei: Evoluzione, Mineralogia e Paleontologia. Va benissimo anche per un picnic.
Altri musei meno battuti sono il Musée Guimet, che ti fa viaggiare dal Tibet alle steppe mongole in un corridoio ma base di antropologia e etnografia. E, nascosto nel Marais, il Carnavalet, che racconta la storia di Parigi con insegne di botteghe scomparse, le prime imbarcazioni della città e tutto quel che serve per capire come è cresciuta la ville lumiére.

Il lato segreto di Notre-Dame: Saint-Étienne-du-Mont

Dopo l’incendio, la cattedrale ha riaperto: fila lunga, pazienza ricompensata. Idem la Sainte Chapelle, con coda obbligatoria.
Ma poi cammina fino al Pantheon e gira lì dietro, dove c’è la chiesa di Saint-Étienne-du-Mont: ti accoglie con un jubé di pietra traforata che pare un merletto sospeso. Dentro regna il silenzio, ed è un lusso più raro di qualsiasi vetrata gotica. Ci sono anche i resti di santa Genevieve, la patrona di Parigi, che l’ha salvata dalle disgrazie.

Luna Park rétro e futurismo Gehry al Bois de Boulogne

Non solo il giardino delle Tuileries e quelli del Luxembourg, prendi la metropolitana fino a Porte Maillot, noleggia una bici e pedala nell’immenso parco del Bois de Boulogne. Laghi, barche a remi, runner in canotta tecnica. Nel cuore del parco c’è il Jardin d’Acclimatation, che sfoggia giostre anni ’20; poco oltre le vele di vetro della Fondation Louis Vuitton di Frank Gehry che riflettono il tramonto come un prisma extraterrestre. Qui la folla si diluisce tra alberi centenari e fontane; l’unica fila la fanno i bambini per il carosello.

Alla fine capisci che Parigi non ha paura dell’affollamento: lo ingloba, lo metabolizza, lo trasforma in parte del racconto. Se ti stancano le attese, svicola: Belleville, Tolbiac, Coulée Verte, Centquatre sono porte laterali sempre socchiuse. Se invece vuoi la foto-trofeo, mettiti in fila con filosofia.

 

 

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