La prima ripetizione italiana al naso di Zmutt per la via Gogna-Cerruti

prima ripetizione italiana al naso di Zmut per la via Gogna-Cerruti
prima ripetizione italiana al naso di Zmut per la via Gogna-Cerruti
prima ripetizione italiana al naso di Zmut per la via Gogna-Cerruti
prima ripetizione italiana al naso di Zmut per la via Gogna-Cerruti
prima ripetizione italiana al naso di Zmut per la via Gogna-Cerruti

Il Naso di Zmutt è quella sezione del Monte Cervino (4478 metri) che guarda verso Nord-Ovest. È caratterizzato da una prima parte su di uno scivolo di roccia e ghiaccio a 65 gradi, una seconda che si sviluppa su tetti e strapiombi e, infine, una terza sezione ‘più facile’ ma che può regalare sorprese in caso di maltempo. Un totale di 2000 metri di dislivello da scalare completamente in ombra, e con due bivacchi intermedi da trascorrere nel cuore più freddo della montagna. Un ambiente che, per morfologia e difficoltà tecnica, tiene alla larga anche le cordate più velleitarie.

Negli anni Trenta, assieme alla parete Nord dell’Eiger e delle Grandes Jorasses, il Naso di Zmutt era considerato come uno dei problemi irrisolti delle Alpi.

La risoluzione di questo ‘enigma alpino’ è datata 1969, e al tempo furono due italiani – Alessandro Gogna e Leo Cerruti – ad arrivare in cima al Cervino da questo versante prima di chiunque altro. Dopo di loro, la Gogna-Cerruti sul Naso di Zmutt (la via più a sinistra guardando la parete per una difficoltà alpinistica di VI superiore con passaggi di artificiale A3 e 1200 metri di dislivello) venne ripetuta poche volte, tra cui in invernale da Edgar Oberson e Thomas Gros nel 1974 e, in solitaria, da André Georges nel 1982 (anche queste prime assolute). Fino a quest’anno, inoltre, nessun italiano era mai riuscito a ripeterla.

Ma lo scorso 27 settembre, 45 anni dopo la prima di Gogna e Cerruti, la cordata composta dagli alpini François Cazzanelli, Marco Farina e Marco Majori (della Sezione Militare di Alta Montagna – Reparto Attività Sportive del Centro Sportivo Esercito di Courmayeur) è riuscita a ripetere l’impresa su una delle pareti più difficili e ingaggianti delle Alpi.

“È stato un obiettivo importante – ha raccontato Cazzanelli –, al quale ci siamo preparati salendo due vie sulla Nord delle Grandes Jorasses: la Colton-McIntyre il 4 settembre e la Combinaison Michto-Polonaise il 16”. E anche se la Gogna-Cerruti era già un grande obiettivo in sé, anch’essa – nel programma annuale della cordata dell’Esercito – è un tassello di un mosaico più ampio: “Il 6 novembre, infatti – ha aggiunto il giovane alpinista valdostano – sempre con Farina e Majori partiremo per la Patagonia. Qui, in base alle condizioni meteo e della neve, decideremo quali vie e salite affrontare. Se il tempo sarà bello proveremo qualche ‘vione’, altrimenti scaleremo su qualche via più rapida e veloce”.

Il racconto della Gogna-Cerruti da parte dei protagonisti, pubblicato proprio sul blog di Alessandro Gogna (il che dà un’idea di come l’alpinismo sia ancora fortemente legato alla sua storia e ai suoi protagonisti), è un viaggio fantastico che da la possibilità a tutti di avvicinarsi – almeno un po’ – a un ambiente altrimenti fuori portata …

Disarmante… Immensa…
 ‘Il più grande strapiombo delle Alpi Occidentali’, così Patrick Gabarrou definisce il Naso di Zmutt: una parete misteriosa e austera incassata nell’immensa muraglia del versante nord del Cervino. Difficile da decifrare, ogni volta che cambia la luce sembra che la sua forma muti ed escano nuovi diedri e tetti. Una sfida completa, severa, dove nulla è scontato in un ambiente tra i più repulsivi che abbiamo mai visto.

Tutto comincia con un messaggio su Whatsapp di Marco Majori il 21 settembre sulla chat della SMAM: “Cosa pensate di fare questa settimana?” dopo qualche battuta e scambio di idee il piano è deciso: andiamo a vedere il Naso di Zmutt. Da lì nelle nostre teste hanno iniziato a girare un sacco di pensieri: “Sarà pulita la parete? A chi chiediamo? Saremo capaci di uscire? La via sarà tutta a posto o sarà crollato qualcosa come spesso accade sul Cervino?”

Poche storie, l’unica cosa da fare è partire e andare a vedere, qualcosa faremo. Il 25 settembre ci ritroviamo tutti a casa di François, prepariamo gli zaini, beviamo un caffè e ci muoviamo subito verso il colle del Breuil. Arrivati al rifugio dell’Hörnli ci aspetta una spiacevole sorpresa: il campo base provvisorio, installato poiché i proprietari del rifugio stanno compiendo delle ristrutturazioni, è chiuso! Iniziamo bene: già un bivacco la prima notte.

Non ci scoraggiamo, ci sistemiamo al meglio e alle 4 iniziamo a muoverci. Attacchiamo la prima parte della via al buio: si comincia subito con dei pendii belli dritti che conducono a una goulotte ripida ma con ghiaccio ottimo. Superato il canale ghiacciato con quattro lunghezze iniziamo ad attraversare verso sinistra per portarci alla base del Naso. Giunti sotto lo strapiombo la vista è impressionante: si ha la sensazione che il tetto in ogni momento possa chiudersi su se stesso inghiottendoci. Il freddo pizzica e i movimenti sono rallentati, Majo fa un movimento sbadato in sosta e perde un guanto.

Da qui in avanti Marcolino Farina passa al comando e iniziamo a scalare su roccia, la giornata è lunga e dopo aver superato un diedro in artificiale con le ultime luci del giorno arriviamo alla esile cengia dove Alessandro Gogna e Leo Cerruti bivaccarono per la seconda volta. Ci fermiamo e iniziamo a sistemarci per la notte, assicuriamo una corda dove possiamo appenderci e sistemare il materiale, ripuliamo dalla neve i nostri piccoli scalini, prepariamo da bere e mangiamo. Ci aspettano ore interminabili, ma non c’è vento e una stellata fantastica ci fa compagnia, sulla cengia troviamo un sacco di materiale abbandonato: chiodi moschettoni e corde, testimonianze indelebili di vecchi tentativi.

Scorre il tempo e alle 6 di mattina ancora al buio siamo di nuovo in azione, con ordine e calma prepariamo da bere, smantelliamo il bivacco, mangiamo qualcosa e ripartiamo. Marco è di nuovo davanti, si comincia con un muro compatto, solcato solo da una piccolissima fessura che ci costringe a usare le staffe. Il nostro socio scala veloce e sicuro, Majo a un certo punto commenta dicendo: “Faina scala come se non ci fosse un domani… che livello!!”

Passano le ore e i tiri si susseguono veloci, purtroppo non ne vediamo mai la fine, ci scambiamo due battute per fare morale: “Ma se chiamassimo l’elicottero?”
Marco: “Piuttosto crepo, ma sull’elicottero non salgo”.

Il morale è alle stelle siamo motivatissimi e improvvisamente ci troviamo al sole alla base dell’ultimo salto: sono le 17.30 dobbiamo muoverci. Farina si supera un’altra volta e alle 18.15 arriviamo sul bordo del Naso, ma purtroppo non è ancora il momento di esultare perché dobbiamo raggiungere con la luce le tracce della cresta di Zmutt. Mettiamo i ramponi e prendiamo in mano le picche, saliamo velocemente su terreno misto e appena accendiamo le frontali troviamo le tracce, da qui però mancano ancora 250 m di dislivello fino alla vetta e la stanchezza inizia a farsi sentire.

La progressione diventa più facile e la concentrazione cala, Majori perde un altro guanto che sparisce nel buio della notte, François recupera alla rinfusa le corde e in ben due soste si aggomitolano tutte facendoci perdere minuti preziosi. Dopo qualche cappellata alle undici di sera giungiamo tutti e tre in vetta al Cervino. Siamo gasati ma tuttavia consapevoli di dover mantenere la concentrazione per la lunga discesa notturna che ci aspetta. Beviamo un the, mangiamo qualcosa e siamo di nuovo concentrati per la discesa: per riposarci dobbiamo arrivare alla capanna Carrel. La notte è perfetta, non fa freddo, non c’è neanche una bava di vento, scendiamo con calma senza prendere rischi e alle cinque di mattino mettiamo piede in capanna, giusto il tempo di bere una coca e ci buttiamo nei letti. Il giorno dopo alle 9 siamo svegliati dal papà di François, Valter che ci è venuto incontro, rifacciamo gli zaini e scendiamo, per le tredici abbiamo le gambe sotto il tavolo a casa Cazzanelli.

Che avventura, siamo euforici e soddisfatti, la nostra dovrebbe essere la settima ripetizione assoluta e prima italiana. Non abbiamo ancora realizzato bene quello che abbiamo fatto, questa salita ci rimarrà per sempre nel cuore, sicuramente è la via più completa e severa che abbiamo mai affrontato fino ad ora.

Un viaggio mistico nel cuore del Cervino dove nulla è scontato e banale. Complimenti agli apritori che nel 1969 si sono superati aprendo una via futuristica e complicata che sicuramente ha portato un passo avanti l’alpinismo dell’epoca.

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