Le vere palestre a “disimpatto”

le vere palestre a "disimpatto"

Nel titolo manca il termine “ambientale”. Ambientale è un termine trito come la visione del desktop a multifacce del quale non se ne può più. Eppure una sana telefonata potrebbe alleggerirci e disimpatterebbe sul nostro sistema nervoso, ma se si vuole fermo immagine e cuffia perché fa più manager, va bene. Torniamo alle palestre a disimpatto. Il collegamento con questa premessa tornerà di qui a poco. Dunque, scaricare a terra il piano strategico che attraversa il progetto di qualsiasi centro fitness, passando per la scelta tecnologica e per la selezione di uomini che faranno la differenza, presenta diverse fasi. Fasi in cui, però, non si parla di ecostenibilità dei materiali utilizzati per riconvertire lo spogliatoio. La questione è un’altra. Il disimpatto di cui si parla nell’economia post-Covid sarà quello che i clienti pretenderanno dall’immaterialità del centro fitness come realtà aziendale e sociale.
I ritriti temi sulla sostenibilità e sull’impatto ambientale che, anche sull’articolo cattura-click, promuovono la caldaia ecologica che dopo due secondi e per sempre apparirà ad ogni accensione del nostro smart-phone, trascurano il lato B del sostenibile. Lato che non ci vorrebbe vittime della pubblicità di quella caldaia che, sebbene non impatti con l’ambiente, impatta pesantemente col nostro mood. Eccoci giunti al collegamento di cui prima. Una palestra a vero disimpatto, per fare uno dei mille esempi di centri fitness mal gestiti, è quella che non ci rompe le scatole con una proposta commerciale al giorno anche se l’armadietto viene da artigianato sostenibile. Invece, la sensazione che si ha, è che l’impatto ambientale di cui si parla già troppo nel sistema palestre post-Covid, sia proiettato all’esterno della struttura e non all’interno. Qualsiasi nuovo piano d’azione, che sia fitness network o che si tratti di punto sport remoto e isolato, non ha in gestazione un progetto preciso dell’ambiente immateriale, dello spazio sensoriale, del percepito energetico dei clienti di una palestra e di chi ci tornerà a lavorare.

Lasciamo perdere le osservazioni su tecnologie che consumano e sprecano ancora troppo e sui volumi di decibel di certi centri fitness che a fine allenamento ci fanno sentire come all’uscita di una discoteca anni Ottanta. Perché, in fondo, al caos energetico ininterrotto ci siamo abituati, visto che preferiamo cuffie e fermi immagine al telefonarsi, che fa troppo analogico. La verità è che siamo beatamente felici di circondarci di bombe di energia tutt’altro che sostenibile quando in palestra scarichiamo e utilizziamo in contemporanea App su computer, telefonino, smart-watch, tv e quadro bike. Ma ci piace parlare di sostenibilità, di palestra realizzata con materiali ecologicamente ineccepibili. Ci dà gioia calcare un parquet con legno riciclato. Tant’è.

Se per arrivare in una palestra avremo finalmente limiti nel parcheggiare dentro l’ingresso come pretendono tanti, se nell’entrarvi troveremo aree ricezione senza gabbie per l’intortamento commerciale clienti, se potremo selezionare prodotti in modalità self-service che abbiano connotazione di vitalità e non di pacchetto industriale plastificato quanto il sorriso degli istruttori pagati male, quella sarà una palestra a disimpatto. Anche se a fine allenamento incroceremo il club manager rientrare a casa con la macchina invece che con un monopattino che non cambierà il destino della sostenibilità mondiale.

Gym Stock photos by Vecteezy

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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