Perché il fitness ha un PIL sociale

Perché il fitness ha un PIL sociale

Il wellness-welfare italiano è rimasto lontano anni luce da quello delle altre nazioni. Altri mercati, altre culture. In quella anglosassone l’head-quarter aziendale che fornisce gratis la palestra ai propri dipendenti è storia. “English e US workers” non vedono l’ora di chiudere la porta dell’ufficio per aprire quella della palestra che è lì, a pochi metri dalla scrivania. Magari al piano sopra o sottostante, ma lì. In Italia non è ancora così e forse non lo sarà mai. Ma nonostante le difficoltà e la lontananza ideologica del wellness-welfare dalle aziende, vi sono potenzialità per rivedere la luce nel 2021. Nonostante questa maledizione, potrebbero tornare a guadagnarci tutti: mondo politico, mondo fitness, mondo aziendale e milioni di fitnessisti. Aneddoto illuminante.

È capitato di seguire personalmente un cliente che pur avendo a disposizione una super palestra aziendale nella zona più prestigiosa di Milano, preferiva lasciare l’ufficio, mettersi nel traffico, parcheggiare chilometri più avanti, passare col borsone pesante al tornello reception e, non ancora contento, aspettare prima di posizionarsi sul tapis roulant preferito. Tale aneddoto presenta una sfumatura che racchiude lo spirito della legge che potrebbe regolare il comparto fitness italiano. I target della “legge sul fitness” che imprenditori del fitness e istituzioni devono cogliere entro la fine dell’anno sono i seguenti:

  1. il fitness è polarizzato: business class ed economy. Ma uno spazio-fitness dev’esserci per tutti, specie per i clienti-utenti che non possono permettersi l’acquisto di sport a prezzi onerosi;

  1. il fitness ha funzioni aggregative: i giovani cominciano a manifestare tensione e la palestra d’oggi è l’evoluzione funzionale dell’oratorio e della piazza di una volta;

  1. il fitness e la salute alimentare incidono su dinamiche mentali individuali e collettive: non ne viene esclusa nessuna fascia di età, e molta attenzione va rivolta a quei senior che trascorrevano intere mattinate in palestra attendendo l’apertura davanti al cancello;

  1. il fitness e i suoi operatori sono pedagoghi e psicologi a costo zero: contribuiscono al sostegno di fasce di età non più avviabili allo sport da scuole prive di budget tecnologici;

  1. il fitness si metterà in gioco con un indirizzo comune e una regolamentazione delle proprie funzioni all’interno della società, compartecipando alla preservazione della salute del 20% della popolazione italiana.

In una situazione come quella deflagrataci addosso da marzo in poi, oltre a ristori che alla lunga portano a poco, i primi due passi concreti per rimetterci in carreggiata nel 2021 saranno due: a) abbattere i costi per i club-aziende (vedi IVA agevolata e connessi); b) abbattere i costi per i clienti-utenti (vedi maggiorazione della quota welfare da portare in detrazione). Tutto questo è oggetto di discussione e trattativa tra rappresentanze istituzionali del fitness che ci stanno dando dentro (FIT.COMM) e istituzioni politiche. Teniamo alta l’attenzione sull’aneddoto di cui prima: il fitness in Italia è una necessità vitale paragonabile al calcio. Prova ne è quel cliente che, pur avendo l’opportunità di fare fitness in azienda, preferiva farlo dopo un tuffo profondo nel traffico. Non si trattava di una necessità fisiologica. Era la caccia a un’emozione che a volte solo l’acciaio tra le mani può dare.

Credits photo: it.depositphotos.com

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