L’iceberg più grande si sta dirigendo contro un’isola santuario dei pinguini

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Il più grande iceberg del mondo si sta dirigendo contro un’isola del Sud Atlantico che ospita migliaia di pinguini e foche. La collisione potrebbe mettere a rischio la sopravvivenza degli animali ostacolare, minacciando la loro capacità di raccogliere cibo. La dinamica, è frutto del cambiamento climatico che ha accelerato il processo di scioglimento dei ghiacci, in questo caso con conseguenze potenzialmente devastanti per l’abbondante fauna selvatica nel territorio britannico d’oltremare della Georgia del sud.

L’iceberg più grande si sta dirigendo contro un’isola santuario dei pinguini

L’iceberg, chiamato A68, è un blocco di ghiaccio a forma di mano chiusa con un dito puntato. È grande 160 chilometri per 48 chilometri e profondo 200 metri. Si è separato nel 2017 dalla piattaforma di ghiaccio Larsen nella penisola antartica occidentale, che era stabile da più di 10.000 anni ma si è riscaldata più velocemente di qualsiasi altra parte del continente più meridionale della Terra.
Al suo attuale ritmo di viaggio, A68 impiegherà al massimo 30 giorni per arenarsi nelle acque poco profonde dell’isola. Sì arenarsi senza distruggere il santuario dei pinguini: l’iceberg è relativamente poco profondi (meno di 200 metri) e potrebbe semplicemente parcheggiarsi in fianco all’isola.
“Mettiamo le probabilità di collisione a 50/50”, ha detto all’Afp Andrew Fleming del British Antarctic Survey.

Pinguini a rischio

Sull’isola remota vivono migliaia di pinguini reali – quelli con un giuffo giallo sulla testa – vivono, insieme a altre specie, fra cui foche e albatros.
Se l’iceberg si incaglierò vicino all’isola, le rotte di foraggiamento potrebbero essere compromesse, ostacolando la capacità dei genitori di pinguini di nutrire i loro piccoli e minacciando così la sopravvivenza dei cuccioli di foca e dei pulcini di pinguino. E il numero globale di pinguini e foche diminuirebbe notevolmente.
In più, A68 schiaccerebbe anche gli organismi del fondo marino e il loro ecosistema, che impiegherebbero decenni o secoli per riprendersi. Il carbonio immagazzinato da questi organismi verrebbe rilasciato nell’oceano e nell’atmosfera, aggiungendosi alle emissioni di carbonio causate dall’attività umana, hanno detto i ricercatori.
[foto NASA/ESA]

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