Sport e Coronavirus dopo il DPCM del 9 marzo 2020: cosa si può fare e cosa è vietato

Sport e Coronavirus dopo il DPCM del 9 marzo 2020: cosa si può fare e cosa è vietato

Il DPCM del 9 marzo 2020 estende all’intero territorio nazionale le misure già contenute nel precedente DPCM del 4 marzo 2020, e queste misure di restrizione e contagio da Coronavirus riguardano anche la pratica sportiva individuale. Se già prima erano stati sospesi gli eventi sportivi di ogni ordine e grado, ora l’aggravarsi della situazione e le nuove misure allargate a tutta Italia impongono a ciascuno di noi coscienza e senso di responsabilità davanti alla possibilità di fare attività sportiva per tenersi in forma.

Il senso del decreto, ribattezzato con lo slogan “Io resto a casa”, è molto chiaro: dobbiamo cambiare le nostre abitudini, anche in fatto di pratica sportiva. In teoria, e formalmente, non è vietato uscire di casa per fare sporti: il punto 3 dell’articolo 1 recita infatti testualmente: “lo sport e le attività motorie svolti all’aperto sono ammessi esclusivamente a condizione che sia possibile consentire il rispetto della distanza interpersonale di un metro“. Quindi in teoria si può uscire a correre, a camminare o a fare altro purché evitando attività di gruppo o assembramenti di persone. Per cui per esempio fare una corsa in una zona isolata, da soli, evitando di sputare o spurgare il naso per strada non sono contro la legge e il Decreto.

Fuori dall’ambito formale e dei diritti c’è poi però un ambito di responsabilità individuale rispetto alla collettività, di cui si è già cominciato a discutere. Gli ospedali sono già in situazione di enorme emergenza nella gestione dei casi affetti da Coronavirus, tanto che in molti nosocomi in tutta Italia sono state rimandati esami e visite di routine e non urgenti per non distogliere il personale dai casi di Coronavirus. Quindi la domanda che ci si dovrebbe porre, in coscienza e con senso di responsabilità, è: cosa succederebbe se dovessimo ricorrere al pronto soccorso in seguito a incidente o infortunio dovuto alla pratica sportiva?

La Federazione Ciclistica Italiana per esempio, per tramite dei suoi comitati regionali e provinciali, ha già diramato un comunicato in cui invita espressamente a non uscire in bicicletta, nemmeno da soli. E il senso è proprio quello di evitare ogni forma di rischio “inutile”.
I comprensori sciistici sono stati chiusi per decreto, quindi la stagione sulla neve è praticamente chiusa. Qualcuno però ha avuto o potrebbe avere la tentazione di dedicarsi a pratiche che non richiedono l’uso degli impianti di risalita e delle piste da sci, come lo scialpinismo per esempio. anche in questo caso formalmente si tratta di un’attività motoria all’aperto che si può svolgere (anche) individualmente. Ma in coscienza – e considerando anche il rischio valanghe che si innalzerà con l’arrivo imminente di temperature più alte – ha senso? È una domanda a cui ciascuno deve rispondere con senso di responsabilità, e lo stesso vale anche per l’arrampicata, le ciaspole e tutto ciò che può avere anche un seppur minimo margine di rischio.

Quindi che fare? Ribadito che il senso del Decreto è “io resto a casa” e che comunque l’attività motoria individuale all’aperto non è contrastata (anche perché potrebbe aiutare a sopportare lo stress di queste giornate di reclusione e in qualche modo a innalzare le barriere immunitarie) poi è nella coscienza di ciascuno decidere se uscire a correre o camminare senza correre rischi. E tra i rischi c’è da includere anche quello legato alla cosiddetta “open window“, quel periodo di tempo successivo a una sforzo intenso che debilita il nostro organismo e lo lascia più vulnerabile a virus e batteri. In fondo lo sport praticato per piacere è solo la più importante delle cose non importanti, e in questo momento è opportuno resettare le priorità. Un piccolo, breve sacrificio per il bene di tutti.

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