Prendete una montagna. Un pilastro di granito in mezzo alla Patagonia. La più inaccessibile montagna del mondo. Il Cerro Torre. Prendete un ragazzino, metà austriaco e metà nepalese. Bravissimo ad arrampicare. Anzi, il più bravo, il campione del mondo, un fenomeno, un predestinato. David Lama.
Fategli dire che lui, quella montagna inaccessibile (quella delle polemiche dopo la prima ascesa dalla parete nord di Cesare Maestri del 1959 in cui perse la vita Toni Egger; quella della seconda ascesa di Cesare Maestri con il compressore da 80 kg rimasto attaccato in parete e delle centinaia di chiodi trapanati nel granito; quella di decine di altre spedizioni sempre circondate da un mix di mistica, polemiche, attesa e coraggio) la scalerà a mani nude. In freeclimbing.
Secondo voi cosa succede nel mondo dell’alpinismo, dell’arrampicata e in generale dello sport? Be’, è la storia di “Cerro Torre – È la Natura a Dettare le Regole“, il film prodotto da Red Bull Media House, già passato al Trento Film Festival e settimana prossima (19, 20 e 21 maggio) in proiezione in tutte le sale The Space Cinema d’Italia.
Noi il film l’abbiamo visto, ed è bellissimo. Un vero film, con l’adrenalina, le emozioni, gli stati d’animo, le delusioni, la fatica e la paura di persone vere, in carne ed ossa, poste davanti a qualcosa che sembra più grande di loro. E ci sono immagini mozzafiato, di quelle che ti fanno spalancare gli occhi. Alla fine avevamo le mani sudate e il cuore che batteva forte, proprio come con quei film che ai titoli di coda ti fanno tirare un sospirone ed esci dalla sala che sei ancora tutto scombussolato.
Subito dopo abbiamo chiamato David Lama, che sta preparando zaino e bagagli per una nuova avventura impossibile in Pakistan, e abbiamo parlato con lui del film, dell’alpinismo, delle sfide e della vita. Ecco cosa ci ha detto.
David, nel 2009 eri un ragazzo di 19 anni che non aveva mai fatto alpinismo: perché hai cominciato sfidando proprio il Cerro Torre?
Volevo una sfida: guardavo quella montagna e pensavo che era il sogno della mia vita. Avevo fatto competizioni di arrampicata per 13 anni, avevo vinto praticamente tutto quello che c’era da vincere, conoscevo quel mondo alla perfezione e sapevo che non c’erano altre sfide per me. Era giunto il momento di dedicare la mia vita alle montagne e all’alpinismo.
Sì ma proprio il Cerro Torre, la montagna inaccessibile…
Il Cerro Torre è il sogno di ogni alpinista, la montagna più iconica, più bella e più difficile al mondo. Pensare di scalarla in freeclimbing era la sfida perfetta per me: volevo provare qualcosa di totalmente nuovo e dimostrare che era possibile farlo.
Era una sfida personale o hai voluto sfidare la montagna e il mondo dell’alpinismo?
Era una sfida a me stesso. Io non avevo mai visto il Cerro Torre se non in foto e video, e solo quando sono arrivato in Patagonia e l’ho visto davvero per la prima volta ho realizzato quanto grande e difficile è quella montagna. Solo in quel momento ho capito le difficoltà che avrei dovuto affrontare e quanto poteva essere difficile realizzare il mio sogno.
Avevi presente la storia di questa montagna, o il tuo approccio è stato totalmente inedito?
In qualche modo il mio approccio è stato totalmente nuovo, perché nessuno aveva mai provato questa cosa di scalare il Cerro Torre in freeclimbing, e tutti dicevano che era impossibile e non aveva senso. Ma ovviamente non potevo non tener conto della storia della montagna: vicende importanti che l’hanno resa così speciale, difficile, bellissima.
Hai mai pensato di lasciar perdere?
Ho pensato al Cerro Torre per tre anni, e sì, non sono mancati i momenti in cui ho pensato che fosse impossibile, che non ce l’avrei fatta. E non solo quando eravamo a El Chaltén in attesa delle condizioni ideali per salire: anche nel film, a un certo punto si vede che sono a cinque metri dalla fine della parete di granito, ma non so come procedere. Anche in quel momento ho avuto dei dubbi, ma arrivare sulla vetta del Cerro Torre era quello che volevo fare, possibile o impossibile che fosse, e sapevo benissimo che se anche ci fosse stata una sola possibilità di provarci avrei dovuto farlo.
C’è qualcosa di veramente impossibile da scalare?
La luna, credo, ma impossibile credo sia solo una condizione temporanea. Se qualcosa è impossibile per me oggi, non è detto che lo sarà anche per le prossime generazioni. In qualche modo la mia ascesa al Cerro Torre ha reso immaginabile qualcosa che per le generazioni precedenti non lo era: pensate alle parole di Messner o di Jim Bridwell che si sentono nel film. Sono convinto che la prossima generazione di alpinisti avrà l’immaginazione e la creatività di pensare qualcosa che oggi è ancora inimmaginabile.
Cosa hai imparato da tutta questa storia attorno al Cerro Torre?
Sono cresciuto come uomo prima ancora che come alpinista. La vita e la montagna hanno molti punti di contatto, e se c’è una lezione che ho fatto mia da questa avventura sul Cerro Torre è che non bisogna mai rinunciare ai propri sogni. Ora ho una nuova relazione con l’impossibile, ho trovato il modo di realizzare la mia immaginazione, e credo che realizzare ciò che ci si aspetta da se stessi sia una grande lezione universale. Ecco, questo forse è il motivo principale per cui andare a vedere il film: “Cerro Torre – È la Natura a Dettare le Regole” racconta quello che possiamo imparare da noi stessi, quello che possiamo immaginare di realizzare, le difficili sfide che possiamo porci davanti e poi affrontare.
A proposito di sfide da affrontare: dove stai andando?
Sto andando in Pakistan, ancora con Peter Ortner, per scalare il Masherbrum. Vogliamo provare la parete nord-est: sono 3000 metri verticali, una facciata davvero difficile, da molti considerata ancora una volta impossibile. Sono molti anni che nessuno la affronta, non so come la scaleremo, se in stile alpino o in freeclimbing, vedremo sul momento come fare perché ho imparato che è la natura a dettare le regole.
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