Gli spazi fitness e la riqualificazione sostenibile

Il post pandemia impone per gli spazi fitness una riqualificazione sostenibile, di prossimità, ibrida rispetto ad altre strutture

Gli spazi fitness e la riqualificazione sostenibile

Attività e mercato del fitness si sono modificati prima dell’evento pandemico. Nel 2019 il fitness erogato e venduto era già omnicanalizzato, sebbene strutture organizzative e spazi di attività ancora non lo fossero. Le risorse “tecniche” migliori (istruttori, master trainer) erano uscite dalle palestre che non potevano più permettersi di sostenerli come costo fisso. Solo in qualche caso, ove possibile, erano riusciti a variabilizzarlo. Il mercato si era così suddiviso in forma manicheistica: grandi spazi, grandi opportunità, facilità di accesso e fruizione del servizio fitness allargata quantitativamente, ma una fitness-qualità a “pacchetti” sempre più frazionata, maneggiabile dal singolo utente solo a (ulteriore) pagamento. Un onere in più, quindi, oltre al costo dell’iscrizione al centro fitness, per wellness-pack personalizzati non agevolmente accoglibili dal cliente tradizionale. E di certo non una buona idea per il lungo periodo di vita delle palestre: molti clienti compravano pacchetti di servizio personalizzato in forma digitale per poi metterli in atto, fisicamente, nella propria palestra che diventava luogo di “uso attrezzature”. Tutto finiva lì.

Gli spazi fitness e la riqualificazione sostenibile

Le risorse “commerciali”, all’opposto, vivevano un momento ancor più favorevole perché il servizio fitness iniziava a vendersi di meno da solo, perciò bisognava forzare con l’azione di vendita della reception e dei telefoni, bollenti. A tale transizione reattiva e non ragionata sul servizio (ricordiamo che la paga degli istruttori di sala scendeva mentre saliva quella dei digital trainers), men che meno si accompagnava quella relativa alla transizione strutturale. Oggi la condizione necessaria e oggettiva affinché uno spazio sport sia contestualizzato è il suo disimpatto ambientale, specie in termini di rifinanziarizzazione progettuale e di suo ammodernamento. Ci si è fermati un po’ troppo indietro e si augura che le istituzioni facciano le mosse adatte, ma nelle grandi riqualificazioni urbane i players non aspettano il think-tank di un gruppo parlamentare. Players e investitori privati sono già avanti e l’ondata riqualificatrice green-sportiva, sostenibile, in multi-servizio e multi-canale, multi-sharing, multi-housing e di prossimità, è inarrestabile. Lo spazio fitness e il residenziale, la ricettività, management e student-housing inclusi, sono ormai inscindibili e servono l’uno al successo dell’altro.

E’ evidente che, fatto salvo qualche grande network dotato di capacità finanziarie e visione sostenibile incastonata nella propria policy, gli spazi fitness di prossimità a grandi opere di riqualificazione urbana sostenibile, per non dire all’interno delle stesse, dovranno riconcettualizzarsi. Dovranno correre come loro.

Due le possibilità che si vanno delineando:

a) che i fitness network o franchising s’inseriscano direttamente nei contesti in via di riqualificazione col proprio brand;

b) che i players della grande riqualificazione urbana, che hanno visione di disimpatto ed expertise strutturali e tecnologiche, si organizzino per fornire loro stessi i servizi fitness sportivi, inserendoli come qualità accessoria del loro prodotto immobiliare.

Le due soluzioni contengono vantaggi e svantaggi per entrambi. Staremo a vederne gli sviluppi, ma la sensazione è che i due settori debbano attingere, come detto prima, l’uno dall’altro.

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