Dallo sci al calcio, se la Norvegia vince così tanto ci sarà un motivo

Non ci ha certo battuto Haaland, ma un sistema sportivo che ha idee chiare, principi saldi, e una filosofia da cui non si deroga.

Dallo sci al calcio, perché la Norvegia vince così tanto

L’ultima in ordine di tempo è la nazionale di calcio di Erling Haaland, che ci ha inflitto un’altra sonora lezione. Da sempre è lo sci. Ma anche il beach volley, l’atletica, il decathlon. La Norvegia vince in quasi tutti gli sport. Eppure razionalmente non dovrebbe essere così: è un Paese di appena 5 milioni di abitanti, con un clima che per almeno sei mesi l’anno scoraggerebbe chiunque dal mettere il naso fuori di casa. La risposta facile sarebbe: soldi, strutture, genetica. Ma la risposta facile, come spesso accade, è anche quella sbagliata.

Il paradosso norvegese

C’è un dato che dovrebbe farci riflettere: il budget annuale della federazione sportiva norvegese per gli sport estivi e invernali è di circa 16 milioni di euro. UK Sport, l’equivalente britannico, ne spende 160. Dieci volte tanto. Eppure quando ci sono di mezzo Olimpiadi e Mondiali la Norvegia le sue medaglie le porta sempre a casa e spesso è in cima al medagliere. E spesso, se si tratta di sport invernali, gli atleti sono carpentieri, idraulici, insegnanti, studenti. Cioè: lavorano e fanno sport. E allora dov’è il trucco? Il trucco è che non c’è nessun trucco. C’è una filosofia.

Niente campionati under 13, medaglie per tutti

Nel 1987 la Confederazione Sportiva Norvegese ha redatto una Carta dei Diritti dei Bambini nello Sport, anticipando di due anni la Convenzione ONU sui Diritti del Fanciullo. Una carta che stabilisce principi che da noi suonerebbero rivoluzionari, quasi eretici: niente campionati nazionali under 13, niente classifiche, e se proprio ci dev’essere una premiazione, medaglia per tutti. Per la Confederazione Sportiva Norvegese l’ossessione per le gare e i risultati non deve mai prevalere sul divertimento e sulla salute dei bambini. E poi una convinzione: che l’esposizione a diverse discipline sportive stimola abilità motorie diverse e ne alimenta lo sviluppo.

Dallo sci al calcio, perché la Norvegia vince così tanto

Sembra il manifesto del “partecipare è importante”. E in un certo senso lo è. Ma non nell’accezione buonista e un po’ ipocrita che gli attribuiamo noi. È la versione originale: partecipare è importante perché solo partecipando si può ambire a vincere. E perché se il 90% dei bambini tra i 6 e i 12 anni pratica sport – come accade in Norvegia – il bacino da cui pescare i futuri campioni diventa immenso. Per fare un confronto: in Italia il 90% dei bambini e adolescenti non pratica sufficiente attività sportiva. Siamo ultimi tra i Paesi OCSE.

La regola del “no jerks allowed”

Ma c’è un secondo pilastro, forse ancora più controintuitivo. Lo sciatore Kjetil Jansrud, argento e bronzo olimpico a Pyeongchang 2018, lo spiegava così: «Crediamo che non ci sia una buona ragione per cui dovresti essere un idiota  per essere un bravo atleta. Semplicemente non accettiamo quel tipo di atteggiamento nella nostra squadra».

La chiamano la regola del “no idiots”. Niente prime donne, niente egomaniaci, niente guerrieri solitari. Gli atleti del team olimpico invernale si allenano insieme all’Olympiatoppen, il centro sportivo d’élite fondato dopo le Olimpiadi di Lillehammer del 1994. Condividono stanze, conoscenze, metodologie. E il venerdì sera escono tutti insieme per la “taco night” con i loro partner.

Condividono la stanza 250 giorni l’anno, non vanno in hotel a cinque stelle, e le camere singole sono rarissime. A volte ci sono due letti matrimoniali, a volte uno solo. Quindi due ragazzi nello stesso letto. E non sembra un gran problema. Non è solo cameratismo da spogliatoio. È una filosofia che permea l’intero sistema. Morten Aasen, atleta olimpico nel 1992, rivelava che non è raro che gli atleti più benestanti paghino di tasca propria per portare i compagni meno fortunati ai ritiri. «Siamo un Paese molto ricco ma crediamo nel modo socialista di fare le cose. Il successo deve venire dal lavorare duro e dallo stare insieme».

I frutti di un sistema

E i frutti si vedono. Jakob Ingebrigtsen ha messo fine al dominio africano nel mezzofondo, vincendo l’oro a Tokyo sui 1500 metri e a Parigi sui 5000. Karsten Warholm è primatista mondiale dei 400 ostacoli. Prima di specializzarsi ha praticato diversi sport, incluso il decathlon – la disciplina che più di ogni altra incarna la filosofia norvegese del combinare forza, resistenza e tecnica. Non a caso la Norvegia ha vinto l’oro olimpico nel decathlon a Parigi con Markus Rooth. Persino nel beach volley i norvegesi dominano. Anders Mol e Christian Sørum – soprannominati i “Beach Vikings” – hanno vinto l’oro olimpico a Tokyo, un Mondiale e quattro Europei consecutivi. Un risultato assurdo per un Paese dove d’estate si arriva a malapena a 20 gradi. Come hanno fatto? Strutture indoor all’avanguardia che permettono di allenarsi tutto l’anno. Niente di magico, solo buon senso.

La lezione che non vogliamo imparare

Tom Tvedt, presidente del Comitato Olimpico norvegese, sorride quando gli chiedono se la loro filosofia non sia un po’ old-fashioned, un po’ fuori dal tempo, e risponde: «Sì! Vecchio stile è perfetto!». I norvegesi – pur essendo un Paese molto molto ricco – si rifiutano di investire milioni in sport che la gente comune non pratica solo per ottenere una breve scarica di serotonina da medaglia. Credono nel legame ombelicale tra sport di base e sport d’élite. Credono che i club sportivi locali – ne hanno 11.000 – siano il cuore pulsante del sistema.

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La visione è quella dello sport per tutti. Prima dei 12 anni devi divertirti con lo sport. Quindi non si focalizziamo su chi vince. Poi, se un atleta è bravo, lo portano all’Olympiatoppen, dove entra in gioco la scienza sportiva di alto livello.

In fondo è una lezione semplice semplice: se vuoi vincere tanto, devi prima far giocare tutti. Se vuoi campioni, devi prima creare persone. Come dice giustamente Julio Velasco: «Ai giovani io dico: voi dovete cercare di vincere il più possibile, ma non credete a chi dice che il mondo si divide in vincenti e perdenti. Io credo che il mondo si divida soprattutto tra brave e cattive persone».

I norvegesi sembrano averlo capito. E infatti vincono.

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