La supercompensazione è il processo di adattamento dell’organismo a uno stimolo allenante. È il motivo principale per cui chiunque fa sport si allena: fare fatica per ottenere prestazioni migliori. Chi corre, va in bici, nuota, ma anche gli appassionati di fitness o chi pratica sport di squadra sa, o almeno intuisce, che la condizione di stanchezza al termine di un allenamento o di un periodo allenante è poi sostituita da una condizione fisico atletica che permette di essere più forti, resistenti, veloci ma anche agili o precisi. In una parola: performanti. È quello che semplicemente viene chiamato stato di forma e che in letteratura è appunto detto supercompensazione.
Cos’è la supercompensazione e come ottenerla
Su cosa sia la supercompensazione, su come ottenerla, su come calcolare quando, quanto e come allenarsi per raggiungerla e ancora sui rischi di un eccesso di allenamento abbiamo parlato con Marco De Angelis, docente di Metodologia dell’Allenamento nel Dipartimento di Scienze Cliniche Applicate e Biotecnologie dell’Università dell’Aquila, e ideatore del sistema che sta alla base di Super OP, il dispositivo in grado di aiutare a raggiungere lo stato di supercompensazione..
Professor De Angelis, cos’è la supercompensazione?
La supercompensazione è il meccanismo grazie al quale l’organismo risponde a uno stimolo o sollecitazione fisica ottenendo il miglioramento della condizione di base.
Cosa si intende per sollecitazione fisica?
Nel nostro caso specifico è l’allenamento, che può riguardare la forza, la resistenza, l’endurance ma anche le capacità coordinative o altre qualità. La cosa importante da sapere è che il nostro organismo ha un’innata capacità di rispondere a queste sollecitazioni ambientali migliorando queste qualità.
Come funziona questo meccanismo di adattamento?
Quando mi alleno faccio conoscere al mio corpo i suoi limiti. L’allenamento mette in crisi qualità come la forza o la resistenza, il mio corpo soffre perché riconosce che la sua attuale condizione non è sufficiente per sopportare tale carico. La conseguenza è che durante il recupero l’organismo è come “obbligato” a costruire ciò che gli manca, dal punto di vista strutturale, metabolico o delle fibre muscolari, per fare in modo di soffrire meno la volta successiva.
È da questo meccanismo che scaturiscono i miglioramenti atletici?
Fondamentalmente sì: l’organismo prima compensa, riparando i danni per tornare alla condizione di base, poi se lo stimolo è stato sufficiente avviene la supercompensazione affinché lo stesso stimolo non generi più stress e sofferenza. In pratica si alza il livello delle proprie capacità fisiche.
Ma basta allenarsi per raggiungere i miglioramenti di forma?
No, perché lo stimolo allenante deve avere determinate caratteristiche (di intensità, durata e frequenza N.d.r.), e se il carico applicato fosse troppo debole il processo di supercompensazione non avverrebbe. E poi perché c’è anche la possibilità opposta di cadere nel cosiddetto sovrallenamento, che è la condizione di decadimento o ristagno delle qualità fisiche.
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Come fare allora per sapere se, quanto e come allenarsi per raggiungere la supercompensazione?
È un problema che ci si pone da qualche decennio. Bisogna fare una premessa: ogni persona è diversa e se anche il carico esterno, cioè la quantità di allenamento che si può misurare in molti modi, è noto e oggettivo, quello che non si sa è il carico interno, che varia da persona a persona ma anche in base ai periodi. Non sapendo in che condizione è il soggetto rispetto al recupero, cioè in quale fase della supercompensazione si trova, è difficile calcolare se deve allenarsi ed eventualmente quanto. Finora si è sostanzialmente andati per tentativi: si è provato con gli esami del sangue, con la frequenza cardiaca e con altri sistemi che però sono risultati poco attendibili.
Perché il suo sistema, alla base di Super OP, è diverso?
Ho cominciato più di 20 anni fa a cercare qualcosa che, in modo semplice, potesse suggerire come modulare l’allenamento, e l’idea è stata quella di individuare i valori più attendibili relativi al tessuto periferico dell’organismo, che è quello più sollecitato dall’allenamento. Questi valori sono la frequenza cardiaca e la pressione arteriosa massima e minima: se misurate al mattino, dopo la notte in cui l’organismo ha recuperato mettendo in atto i meccanismi di compensazione ed eventuale supercompensazione, e se inseriti in un modello matematico che tiene conto della storia del soggetto, sono in grado di stabilire il valore di stress metabolico dell’organismo e quindi la sua ricettività organica a un nuovo carico allenante.
In pratica?
In pratica se ogni mattina ci si misura la frequenza cardiaca e la pressione arteriosa massima e minima, con Super OP dopo 8 settimane si può dedurre con precisione se il corpo è nelle condizioni per allenarsi, e a quale intensità o quantità, o se è ancora nella fase di recupero dallo stress allenante o da altri stress interni, come un’infezione per esempio.
Il sistema di interpretazione statistica alla base di Super OP può aiutare anche a evitare gli infortuni?
Gli infortuni traumatici no, per quanto spesso questi avvengano in condizione di stanchezza. Però può contribuire a ridurre il rischio di infortuni da stress: modulare il carico allenante significa anche rispettare la ricettività dell’organismo, soprattutto quando si raccoglie uno storico importante dei parametri.
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