Sport da bambini: fa meglio alle femmine che ai maschi?

A sorpresa o meno, uno studio scientifico mostra che lo sport fa meglio alle femmine che ai maschi, che in compenso ne praticano di più.

sport da bambini

Lo sport da bambini fa meglio alle femmine che ai maschi? Dal punto di vista psicologico durante l’adolescenza, sì. Almeno secondo quanto riportato da un importante studio canadese di cui parleremo in seguito. Le bimbe che fanno abitualmente attività fisica fuori dalla scuola, una volta giunte in età adolescenziale, presentano meno disturbi in termini di deficit dell’attenzione e di iperattività. E gli stessi benefici non sono stati osservati nei coetanei di sesso maschile.
Questa ricerca dovrebbe essere approcciata con particolare attenzione nei paesi come l’Italia, dove i bambini (e in generale i maschi) tendono a fare più sport di squadra rispetto alle ragazze: si tratta del cosiddetto “gender gap” in tema di attività fisica. E qui il discorso è tutto culturale.

Sport da bambini: fa meglio alle femmine che ai maschi?

Tornando allo studio anticipato in precedenza, gli esperti guidati da Linda Pagani, docente presso la School of Psychoeducation dell’Université de Montréal, hanno intervistato i genitori di 991 ragazze e 1006 ragazzi nati nel 1997 e nel 1998. L’obiettivo dei ricercatori era quello di comprendere l’impatto dell’attività sportiva sull’ADHD, ossia il disturbo da deficit di attenzione e da iperattività: una patologia “nata” negli anni Ottanta negli USA e le cui diagnosi, in Italia, hanno iniziato a diffondersi nei primi anni 2000. Ai genitori è stato chiesto se i loro figli, ormai giovani adulti, avessero fatto qualche sport extracurriculare (con un istruttore o un allenatore) nel periodo tra i 6 e i 10 anni. Dopodiché il team di ricerca ha avuto accesso ai questionari di comportamento compilati dagli insegnanti dei ragazzi e delle ragazze negli anni successivi.

Le differenze tra i bambini e le bambine con il deficit dell’attenzione/ iperattività (ADHD)

Dai risultati dello studio è emerso che le bambine che praticano regolarmente sport extracurriculari in età compresa tra i 6 e i 10 anni hanno meno probabilità di avere il disturbo ADHD a 12 anni, dunque all’inizio dell’adolescenza. Questi effetti positivi non sono stati rilevati nelle ragazze sedentarie e, sorprendentemente, nella maggior parte dei bambini, indipendentemente dal fatto che facessero sport o meno. In particolare, i maggiori benefici sono stati riscontrati nelle femmine che da bambine soffrivano di ADHD: in questi soggetti lo sport è servito per rendere il disturbo molto meno evidente in età adolescenziale.
Come mai tutto ciò? Nel periodo dell’infanzia, i bambini con deficit dell’attenzione e iperattività sono più impulsivi e più abili nel moto rispetto alle bambine. Tra i maschi la diagnosi diviene più facile, e aumenta di conseguenza la probabilità di ricevere delle cure. La diagnosi e il trattamento più rapidi nei bimbi, dunque, possono ridurre o nascondere i benefici derivanti dallo sport. “Nelle ragazze, invece, è più probabile non solo che l’ADHD non venga rilevato, ma che le difficoltà delle bambine vengano maggiormente tollerate sia a casa sia a scuola”, spiega Linda Pagani.

Una questione culturale, testimoniata anche dal gender gap nello sport

La differenza dell’impatto dello sport sulla salute mentale dei bambini e delle bambine non risiede in una questione biologica/genetica. Il discorso, così pare, è culturale. Nei maschi la diagnosi di ADHD è più semplice, si interviene con dei farmaci e lo sport è meno decisivo. Come ha spiegato la dottoressa Pagani, i genitori tenderebbero a tollerare maggiormente le difficoltà delle bambine in termini di attenzione e di controllo degli impulsi. E quando notano qualcosa di strano, potrebbero non vedere lo sport come prima soluzione per aiutarle. Dunque la diagnosi è più difficile e l’attività sportiva è meno considerata. Ma quando lo è, i risultati a lungo termine sono straordinari. Qui si apre la delicata questione del “gender gap” in tema di sport durante gli anni dell’infanzia (ma non solo).

In Italia ci sono ancora troppe discipline che vengono etichettate come “da maschi”, quindi la scelta per le bambine rischia di ridursi. I dati Istat del 2017, ad esempio, mostrano che quasi il 30% dei maschi italiani pratica sport con costanza, e questa percentuale supera malapena il 20% nelle femmine. Le differenze di genere vengono accentuate anche dal fatto che le donne italiane sono escluse dalle istituzioni sportive e dagli organi decisionali. Le differenze nel sistema sportivo italiano sono abissali: stando a quanto riportato da Paolo Crepaz nel libro “All you need is sport”, l’84,6% dei dirigenti sportivi italiani è di sesso maschile. Lo sport (non amatoriale ma praticato all’interno di club), specialmente in Italia, tende a essere ancora visto come una “cosa da maschi”. E in questo modo diventa meno attrattivo per le famiglie con una o più figlie femmine.
Photo by RUN 4 FFWPU / Pexels

 

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