A tutti sarà capitato (sottoscritto incluso) di entrare in palestra pronti per un allenamento di schiena con stacchi pesanti e finire invece a fare un legs hard training memorabile. E a tutti sarà sorto il dubbio: in palestra bisogna sempre seguire il programma o si può improvvisare un po’?
Da un punto di vista tecnico, la deviazione può sembrare un errore. Ma fisiologicamente — e spesso anche mentalmente — può trasformarsi in una scelta vincente.
Capita anche l’opposto: arrivare stanchi, con poche energie, magari dopo una notte insonne o senza pranzo, e scoprire che proprio quel giorno l’allenamento fila liscio, preciso, quasi perfetto. Perché succede? Perché quando sappiamo di avere poche “cartucce”, dosiamo ogni gesto, concentriamo tutto su ciò che conta davvero. E paradossalmente, il rendimento diventa massimo dal primo all’ultimo round.
Quando seguire il piano (e quando no)
La questione del programma fisso in palestra è più complessa di quanto sembri. Dipende dal livello, dal tipo di atleta e soprattutto dall’approccio mentale.Il primo passo è riconoscere quali momenti della giornata sono più adatti al proprio picco di energia.
Alcuni atleti danno il meglio al mattino presto, a stomaco vuoto, quando il metabolismo è “pulito” e il flusso sanguigno va dove serve: quadricipiti, schiena, catena posteriore. Altri preferiscono la sera, dopo ore di attivazione mentale e quattro-sei pasti ben assimilati, con carburazione al massimo per affrontare squat e stacchi.
C’è poi la variabile psicologica: per qualcuno la palestra affollata è uno stimolo competitivo, per altri è un ostacolo alla concentrazione.
Per questo non esiste un piano d’allenamento universale, ma un equilibrio personale tra regole e istinto.
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L’allenamento perfetto è quello che impari ad ascoltare
Nel tempo, ogni atleta dovrebbe diventare co-autore del proprio piano. Il coaching serve (e molto), ma l’obiettivo è arrivare a costruire un dialogo continuo tra coach e atleta, dove il feedback non scorre solo dall’alto verso il basso.
L’allenatore propone e corregge, ma l’atleta — attraverso autoanalisi, consapevolezza e capacità di leggere il proprio corpo — restituisce informazioni preziose. In questo modo la tabella diventa viva, flessibile, personalizzata.
È un processo di affinamento reciproco, dove la fiducia conta quanto la tecnica.
Improvvisare (bene) non è andare a caso
Molti atleti restano al vertice seguendo lo stesso piano per anni. Altri migliorano solo cambiando costantemente esercizi, carichi, stimoli.
La verità sta nel mezzo: il corpo ama la coerenza, ma la mente ha bisogno di varietà.
E spesso, improvvisare una sessione fuori schema — spinti da stanchezza, curiosità o semplice intuizione — può sbloccare nuovi progressi.
Allenarsi con la testa accesa, ascoltando sensazioni e limiti, è la chiave per la best performance.
Alla fine, in palestra come nella vita, non è sempre la programmazione perfetta a fare la differenza, ma la capacità di capire quando è il momento di rompere lo schema.
Foto di Victor Freitas da Pexels
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