Marko Prezelj e l’elogio dell’incertezza

La pressione è parte del gioco, accettala. La sensazione la conosciamo tutti: sotto pressiamo non siamo tranquilli, ed è normale non essere calmi e non riuscire a controllare i nostri sentimenti. Ma quando parti per una spedizione la pressione è inevitabile: quella esterna, data dai media, dagli sponsor, dall'ambiente alpinistico; quella interna, che ti crei da solo quando punti a un obiettivo. Devo ammettere però che se da giovane la pressione la cercavo e me la creavo anche da solo, ora sono felice di sentirmi impermeabile ai feedback del mondo esterno: mi piace fare le cose per me e non perché la gente si aspetta che io le faccia. C'è poi un'altra pressione, ed è quella creata dalle situazioni difficili in cui ci possiamo trovare: a me per esempio è capitato di rimanere in parete per 41 ore, o camminare per 61 ore in Alaska. In simili condizioni non puoi rimanere sempre concentrato, ci sono momenti in cui semplicemente non sei lucido ma, come con il pilota automatico, ti affidi all'istinto o ai tuoi compagni e procedi anche senza essere pienamente cosciente. Non è possibile rimanere al 100% della concentrazione per così tanto tempo, e inevitabilmente ci saranno dei momenti in cui farai le cose in automatico, affidandoti all'istinto.

Oltre 30 anni in parete, firmando moltissime prime ascese e aperture di nuove vie in Nepal, Tibet, Patagonia, Canada, Alaska e su numerose altre montagne nel mondo, ciascuna di esse un mondo unico da esplorare e capire. Marko Prezelj, sloveno, paladino dello stile alpino e dell’alpinismo puro, ha anche vinto due volte il Piolet d’or, il massimo riconoscimento mondiale nell’alpinismo: il primo nel 1992 per avere aperto con Andrej Stremfelj una nuova via sul pilastro sud del Kangchenjunga, il secondo nel 2007 per la nuova via sul Chomolhari aperta con Boris Lorencic.

In questa seconda occasione però ha rifiutato il premio, perché con il tempo si è convinto che “ogni scalata riflette le aspettative e le illusioni che si sviluppano prima di mettere piede sulla montagna” e non si possano giudicare in modo oggettivo le ascese di altri alpinisti. Ora è ambassador di Patagonia e quando l’abbiamo incontrato ci ha raccontato che “la montagna è come la vita, piena di sfide, gioie, fallimenti, paure, progetti e incertezze“.

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