Con le aziende italiane, proporsi con un progetto di Corporate Wellness è sempre stato un’avventura. Non siamo Anglosassoni. Da loro si lavora, si mangia, ci si allena, si festeggia e si gioca, sempre in azienda. In Italia, per chi lavora fino alle cinque, sei o sette, trattenersi nell’HQ Wellness-Space per allenarsi è utopia. Seguo clienti che pur di non ritrovarsi a fianco del capo o del collega a correre sul tapis roulant, preferiscono fuggire al parco o mettersi in viaggio per allenarsi lontano dalla sede aziendale. Non una buona notizia per le aziende, già confuse e concentrate su altri problemi, che volendo investirci su non sanno che pesci prendere. Tirate per la giacca dei loro manager da sales manager di tecnologie fitness che impongono parchi macchine come condizione necessaria per realizzare il progetto aziendale di successo. E ipnotizzati dai creativi dell’ergonomia che lavorano su aree wellness assurde, progettate su flussi che non ci saranno mai.
Corporate wellness: un refresh
Il successo del progetto “Corporate”, in realtà, non può essere né lo spazio, né la tecnologia, né gli accessori, ma l’uomo. L’istruttore sempre presente: un po’ fisicamente, un po’ remotamente.
Ma non a spot. Interfaccia più corporeo che digitalizzato, intercettore del bisogno di movimento personalizzato, non impositore di uno schema prestampato. Un trainer, quindi, ma anche un manager, un filosofo della salute, sapiente erogatore di fitness individuale “cotto al momento” che in azienda farà stare meglio tutti, foss’anche un’ora di chiacchierata davanti a un caffè. Nessun wellness-pack-aziendale sarà vendibile o acquistabile come servizio standardizzato. Se lo sarà non avrà un successo di lungo periodo.
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Spoiler: ne mandiamo poche, ma buone!
Perché il Corporate Wellness è all’opposto del servizio fitness fornito da una palestra
La palestra insegue i flussi, le quantità. Il Wellness aziendale deve seguire la persona, la sua produttività, la sua gioia di esser parte di quella filosofia aziendale che lo vede partecipe col suo nome ben identificato. Non col suo numero. Perciò, mentre la palestra ragiona sacrosantamente sull’efficienza e sui numeri, nel Corporate si deve mirare all’efficacia. E quella la mette a punto un Wellness Manager che curi maniacalmente l’aspetto relazionale, che capisca, nel curare ogni relazione, che invece di desiderare un Wellness Service la persona opterebbe volentieri per un Wellness Product. Un accessorio sportivo per la figlia che frequenta la palestra o un cesto di prodotti bio per sua moglie. Quindi il Wellness Manager è di più: è l’attuatore della migliore strategia tecnico-commerciale che valorizzi il Benefit come punto d’incontro del servizio acquisito dall’azienda col bisogno di Welfare individualizzato e individuale.
Ma torniamo alla realtà, che è ancora un’avventura. Nell’organigramma aziendale è il Facility Manager che di solito discute l’opportunità d’inserire o meno il servizio di Corporate Wellness. Senza saperne più di tanto, però, il che lascia il progetto sospeso a mezz’aria. In qualche altro caso, anche in aziende di alto profilo, esiste una figura ad hoc già internalizzata, sorta di Corporate Wellness Manager parente dall’AD, bravo, questo, a prendere due piccioni con una fava: 1) abbassa i costi per fornitura servizio Welfare secondo policy aziendale; 2) piazza il nipote di turno in azienda al secondo anno di Scienze Motorie. Ma questo è un treno che se parte si ferma alla prima stazione. Dove scenderanno tutti.
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