Fitness Industry A-Z: Offerta

Fitness Industry A-Z: Offerta

Dopo una ricognizione nella fitness industry svolta nel pre-durante-post pandemia, e dopo chiacchierate, mail, telefonate, caffè in presenza e digitalizzati, riavvolgiamo il nastro dell’offerta di servizio fitness ad oggi. La riqualificazione sostenibile di aree miste indoor+outdoor converge, volenti o nolenti, sulla palestra tradizionale. Il nocciolo della questione è la transizione degli spazi fitness da statici a dinamici secondo le regole di una domanda di fitness “ibrida” esplosa sì, ma frammentatasi.

Fitness fisico, digital, ibrido

Fitness fisico, fitness digitale e fitness phygital, cioè liquefazione dell’offerta non più ascrivibile alla fitness facility arcinota: un po’ di macchine messe in croce e istruttori zero. Ciò si traduce non solo in una nuova e necessaria multiformità delle location di pratica del fitness ma soprattutto sulla mobilità, nonché incontrollabilità e ingestibilità, di operatori e utenti. Grandi flussi si muovono ormai da una palestra all’altra mettendo in spam le chiamate a raffica delle reception alle scadenze. Stop anche agli acquisti d’impulso in luogo di quelli ragionati, fitness incluso e soprattutto fiducia, quella vecchia, considerata analogica, verso la propria palestra e verso chi ci sta dietro.

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Spazi fitness intelligenti (AI) a impatto meno uno dovranno ibridarsi mediante riutizzabilità, modificabilità, e persino facilità di trasporto di alcune loro parti e/o accessorietà. Tali concept ri-orienteranno una domanda che si porrà a metà strada tra quell’in-door e out-door sportivo forzatamente diffusosi nella pandemia. Una grande scia, in chiave distanziamento e non distanziamento utente, quell’evento l’ha inevitabilmente lasciata, e i punti sport dovranno fare proprio il contrario dello standardizzarsi: personalizzandosi strutturalmente ovunque sarà necessario collocarli (bacino gravitazionale e strategie di prossimità) e ovunque avrà deciso di muoversi questo mercato del fitness che ha regole iper-mutanti.

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Doverosa digressione. L’ingresso nel mercato italiano delle palestre low cost prima e l’esplosione pandemica poi, avevano azzerato i ricavi di centinaia di centri fitness e punti sport sparsi sul territorio nazionale. A seguito di incontri coi manager del settore, alcuni illuminati e attenti ai feed-back, altri presuntuosi e certi delle loro scelte, si puntava (alcuni) sulla forza assoluta e indistruttibile del low-cost business. Approcci gestionali da bocciatura all’esame di strategia sull’impiantistica sportiva (palestre e spogliatoi strapieni con orde di clienti in quantità doppie se non triple rispetto ai metri quadri di palestra), comportavano fallimenti nell’Offerta, laddove la pandemia non era ancora arrivata: la battaglia sui prezzi aveva ridotto i margini ben prima di quegli eventi e il covid non c’entrava nulla.

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Di lì è iniziato a sorgere un altro problema: i centri fitness avevano eliminato le risorse tecniche migliori, non potendo più permettersi di pagarle o non ritenendole in grado di dare nuove strategie (forse utili) in un contesto di low-costismo e azzeramento dei contenuti dell’Offerta Fitness. Che è poi salute: definire un servizio salute (si va in palestra per stare meglio o no?) low-cost è ossimorico per non usare termini meno nobili. Senza più una strategia, l’offerta dei servizi fitness sportivi spariva, e una grande fetta di mercato veniva occupata dai network low-cost che in prima battuta si lanciavano grazie alla massa critica di un’utenza fitness che portava un’enormità di “micro-fatturati” e a ovvie economie di scala. Poi, però, s’intuiva che si stava trattando solo di una prima battaglia vinta, seguita da tante altre perse.

La situazione attuale di domanda e offerta fitness

Gli eventi successivi, ovvero le crisi economico-energetiche con impennata dei costi produttivi dell’Offerta Fitness, poneva fine a tante gestioni locali che non potevano fronteggiare gli oneri di gestione a fronte del calo di fatturato per cliente. Salvo non iscrivere quattro-utenti-per-metro-quadro, il che comporta un picco e poi la Fossa delle Marianne. Gli ostacoli erano quindi insormontabili: locazioni improponibili per strutture murarie neanche rispondenti a criteri di sicurezza, spese energetiche abnormi data l’assenza di dotazioni tecnologiche intelligenti, impatti ambientali fuori controllo, erogazione di sottoprodotti sia all’interno delle strutture fitness che all’esterno.

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Il quadro economico si è perciò rannuvolato dopo le prime battaglie vinte (quelle di Pirro, inutili) e ora la situazione, in termini di quella salute che dovrebbe proporsi a tutti i componenti di una Domanda Fitness a fronte di un’Offerta Fitness seria, è questa:

1) sport&fitness seguono due direttrici, quella low-cost per pubblici che non hanno disponibilità economiche e quella dei servizi eccellenti accessibili solo da chi ha redditi alti. Ci si potrebbe/dovrebbe muovere su un ottima via di mezzo, utile per marginare sui bilanci degli imprenditori, per recuperare risorse tecniche indispensabili per veicolare l’Offerta Salute e utile soprattutto per gli utenti, abbandonati a se stessi o alle lotte fratricide tra personal trainer incontrollati dalle strutture fitness, attente solo all’obolo affitto da parte degli “incontrollati” che controllano il servizio (!). Incomprensibilità uno;

2) sport&fitness non stanno più rivestendo funzioni educativo-aggregative, venute meno se il complesso impiantistico locale smette di erogare servizi con “contenuti”. Le attività salutistico-ludico-educative sulle fasce giovanili, ampio segmento clienti verso cui gli allenatori-maestri hanno responsabilità, sono relegate all’autonomizzazione nell’uso delle macchine con protocollo wellness redatto dall’influencer diplomatosi trainer in quarantott’ore. Incomprensibilità due. Nell’Offerta Fitness al 2024, qualcosa è da rivedere.

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Photo by Photo GeniusLOGAN WEAVER | @LGNWVRdylan nolteDanielle Cerullo 

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