Il bellissimo post di Paolo Kessisoglu sul perché andare in bicicletta ha a che fare con la libertà e la felicità

Il bellissimo post di Paolo Kessisoglu sulla bellezza dell'andare in bicicletta

L’attore e comico Paolo Kessisoglu, del duo Luca e Paolo,  è un grande appassionato di bicicletta e ciclismo e ha scritto un bellissimo post che spiega perché, nonostante tutto, nonostante i dolori, la fatica e quant’altro, andare in bicicletta ha molto a che fare con la felicità e la bellezza.

> Leggi anche: Perché andare in bici ha a che fare con a felicità

Sono a pezzi.
Non lo so.
Giuro non lo so davvero.
Nel senso, non dò per scontato il fatto che mi piaccia, a quasi 48 anni, cuocermi le palle e stirarmi la prostata per ore, mentre lascio sofferente una scia di sudore sulla strada.
Nemmeno ho la presunzione di pensare che stare abbarbicato ad un manubrio, che maledico salendo per una strada che sembra infinita, (anche perché magari l’ho pure già fatta e mi dico: “eri consapevole, cretino, ora pedali!) sia un esercizio, certo, faticoso ma tutto sommato piacevole.
Eppure c’è qualcosa di diabolico, di inspiegabile.
Mediamente sulla strada del ritorno, guardando quelli seduti ai tavoli dei ristoranti lungo lago col prosecchino davanti, penso: “basta cribbio, oggi ho esagerato, per un po’ stacco…”.
Eh sì, perché mentre agogno di scendere dal trabicolo mi fanno male in ordine sparso: schiena, culo, palle, ossa ischiatiche, cervicale, gambe sopra e sotto, polpacci, spina dorsale, senza contare che nel migliore dei casi non sento più i piedi, mi si sono addormentate le prime falangi e i palmi delle mani, ho fame, la lingua pesa come un incudine e schiocca a tal punto che si spaventano anche i passanti e mi viene il dubbio che in quegli intrugli che mi preparo non ci siano carbo-idrati ma probabilmente manganite. Nonostante ciò, arrivo a casa, poso la bici, il tempo di un attimo e mentre le dò le spalle e me ne sto per staccare penso: “che poi…tutto sommato una ripetutina la potevo ancora fare…dopo domani ci dò dentro però, eh!”
Dopo domani?
Ma allora, santo cielo, la manganite ce l’ho anche nel cervello?
Tutte le maledizioni che ho tirato svaniscono appena mi stacco dal mio gioiello, la mia macchina di tortura, laddove “mia” non è riferito alla bici ma al fatto che la “tortura” è una mia libera scelta, ogni volta peggio e con un graduale ed inesorabile upgrade di fatica.
Voglio forse iscrivermi al giro d’Italia? Naaaa
Godo a superare i ciclisti della domenica in salita? Naaaa
Aspiro a diventare il nuovo Nibali, lo squalo di Genova? Naaaa
E allora why? Pecché?
Perché la felicità di arrivare su in cima, dove arrivano le auto, tutto da solo e con le mie gambe mi fa stare bene, vivo, anzi “Alive and kicking” come il titolo di una canzone dei Simple Minds. Perché quando arrivo alla chiesetta (c’è sempre una chiesetta in cima alla salita, meno spesso una fontanella, per Giove!) e guardo i vecchietti seduti al bar che mi fissano come fossi un deficiente e mi viene in mente che giro la bici e poi è tutta discesa, provo un senso di goduria totale.
Allora vado: impugnatura bassa, giù la testa, gambe a mulinare sennò si raffreddano, fondoschiena all’insù, il sudore che si asciuga ed il fresco che mi entra ovunque, anche nella testa e mi pare che tutte le domande che mi sono fatto in salita sulla vita, il lavoro, i figli, l’amore (sì perché mentre fatico mi sembra anche di pensare meglio, che di solito non è un’attività che mi venga benissimo) trovino risposta in discesa, tutto si sciacqua, tutto si risolve.
Non sono un gran discesista (me la faccio sotto, grazie a Dio) ma mi piace disegnare un linea pulita, ci provo, mi guardo da fuori, voglio essere a posto, preciso: il copri scarpa con la zip tutta su, l’antivento ben calzato, esco dai tornanti e via sui pedali per riprendere velocità, in prossimità delle buche alzo leggermente il sedere ma giusto poco poco per non rovinare l’estetica del gesto atletico. Ancora ancora il gesto, ma l’atletico…sono proprio scemo.
Mi diverto.
Dimentico tutti i dolori.
Mi sento libero, libero come l’aria.
Mi sento felice con niente.
Sono a pezzi, ma mi sento un Dio.

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